«Il virus diventerà stagionale. Per il futuro sono ottimista»

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Mentre si abbassa la curva dei contagi, che cosa ci dobbiamo aspettare nei prossimi mesi? Lo abbiamo chiesto a Giovanni Maga, professore all’Università di Pavia e direttore del Laboratorio di Virologia Molecolare all’Istituto di Genetica Molecolare del CNR. «Sbaglia chi considera il Green Pass una misura vessatoria o di discriminazione sociale». «Le vaccinazioni hanno evitato oltre 30.000 morti in Italia e mezzo milione in Europa»

Per fare il punto sulla situazione della pandemia nel nostro Paese e sulle prospettive che ci attendono nelle prossime settimane abbiamo intervistato Giovanni Maga, professore di Biologia Molecolare all’Università di Pavia e direttore del Laboratorio di Virologia Molecolare presso l’Istituto di Genetica Molecolare del CNR (Consiglio Nazionale delle Ricerche). In parallelo alla sua attività di ricercatore, ha sempre avuto grande interesse per la divulgazione scientifica verso il grande pubblico. In questo contesto è autore di numerose pubblicazioni e interventi.

Dottor Maga, facciamo un salto indietro di due anni quando tutto ebbe inizio. Che ricordi ha dei primi giorni della pandemia? Com’è cambiata la sua vita da allora?

«Il 21 febbraio, con il primo caso italiano a Codogno, è iniziato uno tsunami inarrestabile che ha travolto tutto. Ricordo lo sbigottimento, l’incredulità e poi la paura, di fronte a un evento di cui, per trovare un parallelo nel nostro Paese, dobbiamo forse tornare all’epoca dell’influenza spagnola. Io dirigo un Istituto del CNR, dove facciamo ricerche di genetica anche sui virus, ma con il primo lockdown abbiamo dovuto interrompere molte attività. Ricordo che passavo intere giornate in Istituto con due o tre dipendenti o anche da solo, dovendo garantire solo le attività essenziali. Però non sono mai mancato, perché il mio principio è che se l’Istituto è aperto e c’è anche un solo dipendente al lavoro, il direttore deve essere presente. Ma vivevamo in un clima spettrale. Nel frattempo ero stato nominato membro della cabina di regia a supporto della Direzione Generale del CNR dove, insieme ai dirigenti centrali, dovevamo decidere le misure per gestire le diverse fasi: dal lockdown alle riaperture, garantendo il rientro in sicurezza. Regole da declinare poi sulle realtà diversissime di 88 Istituti in tutta Italia, che spaziano dalle scienze dure a quelle umanistiche, dalle grandi Aree della Ricerca ai piccoli Istituti in palazzi storici. È stato un periodo molto impegnativo, ma gratificato dalla consapevolezza che il nostro lavoro serviva a consentire di mantenere operativo il maggiore Ente pubblico di ricerca italiano. Accanto allo tsunami virale, però, è arrivato quello mediatico. Ogni testata giornalistica, radio, televisione, era a caccia dell’“esperto” che commentasse i dati, desse delle prospettive, facesse delle previsioni. Anche io, avendo sempre lavorato nel campo dei farmaci antivirali, sono stato interpellato. La pressione è comunque stata alta: oltre un migliaio di interventi sui media nel 2020, alcuni anche di notte o nei fine settimana. Soprattutto, mi venivano rivolte domande a cui spesso non c’era una risposta, perché un virus sconosciuto lo si deve studiare, i dati vanno raccolti e verificati. Ma i tempi della scienza non coincidono con quelli dell’informazione, che vuole risposte immediate e possibilmente definitive. In quei casi, sta all’onestà intellettuale di chi risponde ammettere anche di non sapere. Ma in una situazione così drammatica, caratterizzata da una spasmodica attenzione del pubblico, ogni parola va soppesata, ogni affermazione calibrata, perché il rischio è di mandare messaggi sbagliati o fuorvianti. Insomma, la mia vita è cambiata, certo meno che quella di molti che hanno perso il lavoro o i propri cari, ma comunque ha portato un carico di stress molto elevato».

E ora a che punto siamo? In questi giorni sentiamo parlare di fine dello stato di emergenza, di addio alle mascherine all’aperto… Che cosa ci aspetta nei prossimi mesi?

«In questi giorni si parla di “nuova fase” dell’epidemia, tanto che si dice che “si stia avvicinando la fine della pandemia”. Ma sarebbe un errore presumere un epilogo rapido. Oggi l’epidemia è dominata dalla variante Omicron, altamente contagiosa, ma con un rischio ridotto di dare sintomi gravi, anche se questo vale soprattutto per le persone vaccinate. Certamente, l’alto tasso di vaccinazione, unito al numero elevato di persone guarite dopo una malattia lieve o moderata, ha alzato molto il livello di immunità della popolazione, limitando sempre più la circolazione del virus. Se questa immunità acquisita manterrà la sua forza nel tempo, tutto fa pensare a una primavera ed estate più serene. Ma prima di allentare eccessivamente le misure di prevenzione, a mio avviso è necessario aspettare che la curva dei contagi si stabilizzi su valori ben più bassi degli attuali. Quindi per ora ancora prudenza e mascherine nei luoghi affollati. Sbaglia chi considera il Green Pass una misura vessatoria o di discriminazione sociale. Il Green Pass serve a garantire che gli spazi comuni, da quelli di lavoro ai luoghi di ritrovo, siano caratterizzati dal minor rischio di contagio possibile. Che non è mai zero, ma è molto ridotto se tutte le persone presenti sono vaccinate. Bisogna ricordare sempre che il virus non scompare e nel prossimo autunno-inverno rialzerà la testa, come fanno tutti i virus di questo tipo. Dobbiamo essere pronti, con nuovi vaccini e con i farmaci, per evitare di tornare in una situazione critica».

La campagna vaccinale prosegue. Che cosa si sente di dire a quanti ancora non si convincono a sottoporsi alla vaccinazione? In particolare come possiamo rassicurare i genitori alle prese con la vaccinazione dei più piccoli?

«Io per mestiere mi baso sui dati. E questi mi dicono che le vaccinazioni hanno evitato oltre 30.000 morti in Italia e mezzo milione in Europa. I rapporti dell’Istituto Superiore di Sanità costantemente testimoniano l’elevata protezione dalla malattia grave e dalla morte conferita dai vaccini. Il rischio di finire in ospedale per i non vaccinati è da 6 a 10 volte superiore (a seconda dell’età) rispetto a chi si è vaccinato. E il rischio di finire in terapia intensiva è fino a 20 volte superiore. Basterebbero questi numeri a convincere gli indecisi, purtroppo non è così. Bisogna allora continuare a informare per fugare i dubbi. I vaccini oggi utilizzati sono sicuri, hanno tassi di effetti avversi molto inferiori a quelli di farmaci usati comunemente, come quelli antinfiammatori ad esempio. Non modificano il nostro codice genetico. Non causano effetti a lungo termine, perché il principio attivo dei vaccini, che sia mRNA, DNA o proteina, scompare dal nostro organismo in pochi giorni. Quello che rimane è l’immunità. È il Covid-19 che invece può causare effetti a lungo termine, anche nei bambini. Dall’inizio della pandemia in Italia si sono contagiati quasi 600.000 bambini sotto i 12 anni, di cui oltre 6.000 ricoverati. I casi gravissimi, che hanno richiesto la terapia intensiva, sono stati fortunatamente pochi, circa un centinaio, e si sono avuti 20 decessi. Tuttavia, la fascia pediatrica ancora oggi è tra quelle con la maggiore incidenza di nuovi contagi. E i bambini sono a rischio di sviluppare sindromi post-Covid come la sindrome infiammatoria multisistemica, che può avere gravi conseguenze, richiedendo l’ospedalizzazione. La vaccinazione nei bambini 5-11 anni è stata approvata dalle agenzie regolatorie sulla scorta degli studi clinici e la sua sicurezza confermata dai milioni di dosi somministrate finora, che hanno segnalato effetti collaterali molto inferiori rispetto agli adulti. Vaccinare i bambini è una difesa per loro, ma anche per chi sta loro accanto».

In autunno servirà una quarta dose? Sul fronte delle possibili terapie ci sono novità?

«Al momento non c’è nessuna indicazione per una dose aggiuntiva dei vaccini attuali. Anche l’estensione illimitata del Green Pass per chi ha fatto tre dosi (o due dosi con guarigione) va intesa non come una indicazione che l’immunità durerà per sempre, ma che non è ancora possibile dare una eventuale data entro cui ripetere la vaccinazione. Bisognerà vedere l’andamento dei contagi tra i vaccinati e le sue conseguenze in termini di malattia. Certamente, se richiamo ci sarà, dovrà essere fatto con vaccini diversi, in grado di dare una protezione più ampia anche contro le varianti. È già stato approvato il vaccino basato sulla proteina Spike purificata (quindi non mRNA o DNA) della Novavax e potrebbe essere vicino all’approvazione il vaccino della francese Valneva che utilizza il virus intero inattivato, cioè ucciso. Quest’ultimo ha dimostrato nei primi studi di essere efficace anche contro la variante Omicron e potrebbe dare una protezione anche contro future varianti. Si stanno poi sperimentando vaccini di nuova generazione a mRNA o basati su proteine purificate, studiati per addestrare il sistema immunitario a “colpire” il virus in quelle sue componenti che non cambiano, perché essenziali. In questo modo anche future varianti non svilupperebbero una resistenza al vaccino. Sul fronte degli antivirali oggi ne abbiamo a disposizione già tre e altri ne arriveranno, insieme a cocktail di anticorpi monoclonali sempre più efficaci. Quindi possiamo guardare al futuro con ottimismo. Personalmente credo che il virus diventerà sempre più stagionale come l’influenza, colpendo cioè soprattutto tra novembre e marzo. Per cui posso immaginare che si arriverà a raccomandare una vaccinazione combinata Coronavirus/influenza magari solo per le categorie più a rischio. Questo lo vedremo nei prossimi mesi».

Marco Rezzani

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