Romualdo Marenco è “nato” tra le quinte di un palcoscenico

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Ha dato il nome al teatro di Novi Ligure (da poco riaperto) e ha scritto l’Excelsior, il suo Gran Ballo. Oggi un libro ripercorre la sua vicenda a 180 anni dalla nascita

Romualdo Marenco (Novi Ligure 1841-Milano 1907) fu uno dei maggiori compositori di musica per balletto della seconda metà dell’Ottocento. Nacque da famiglia repubblicana, trasferita da Genova a Novi Ligure in seguito alla soppressione della Repubblica di Genova.

Il compositore aveva un legame molto forte con Novi, ed è proprio a tale sentimento che Lorenzo Robbiano, a 180 anni dalla nascita del musicista, ha dedicato il suo ultimo libro Salut’me a Ture (Edizioni Epokè). All’interno del gioiello novese rappresentato dal teatro cittadino dedicato proprio a Marenco, venerdì 19 novembre Robbiano ha presentato il suo volume, preceduto dagli interventi di Ada Geraldini Caraccia, presidente della Fondazione “Teatro Marenco”, Andrea Oddone, direttore d’orchestra e compositore, Simone Tedeschi, assessore alla Cultura e presidente della Casa Editrice Epokè, Oscar Poletto, presidente del Consiglio comunale insieme ad altri rappresentanti della giunta. Alla presenza di un folto e interessato pubblico l’autore ha illustrato gustosi e appassionanti episodi di vita del giovane Marenco.

Romualdo era il settimo dei nove figli di una coppia repubblicana. La mamma, che filava la seta, rimasta vedova, la sera faceva la sarta del teatro “Carlo Alberto” di Novi e il giovane, insieme ai fratelli, passava le sue serate tra le quinte del palco, dove respirò, fin da giovanissimo, la musica. Allievo di scuola un poco indisciplinato e dalla carriera scolastica non brillante, Marenco cominciò a suonare giovanissimo nella banda municipale e la versatilità dell’apprendimento gli fece imparare diversi strumenti da autodidatta; divenne violinista prima e fagottista poi al teatro “Doria” di Genova, in seguito fu nominato direttore d’orchestra al teatro alla Scala di Milano.

Fu quindi musicista eccezionale e intraprendente, che ha compiuto un percorso di perfezionamento con perseveranza e amore per la musica, percorso che lo ha portato da suonatore della banda cittadina a polistrumentista, vissuto sotto l’ala protettiva, ma anche un po’ invadente, di Giuseppe Verdi, come altri musicisti coevi.

Fin dai primi anni di carriera si specializzò nella composizione di balletti, alcuni dei veri kolossal, considerabili precursori del musical, ma anche di opere, operette e di jingles pubblicitari. Il primo dei balli composti per Luigi Manzotti, il coreografo che portò il “ballo grande” italiano in tutto il mondo, fu Sieba del 1878 e, in seguito, Excelsior, il successo che girerà in varie forme per tutti i continenti.

L’Excelsior, il Gran Ballo di Marenco, viene definito da alcuni critici un’opera del più chiuso in sé degli artisti, in larga parte non manifestazione della sua volontà bensì espressione dell’ambiente che lo circondava, ciò che gli storici chiamano mentalità, in particolare per gli artisti che, lottando per avere successo come Marenco, sono costretti a interpretare i desiderata del pubblico: pertanto, dal punto di vista sia storico-culturale sia della grammatica musicale, il compositore risulta collocato profondamente nella sua epoca. Excelsior punta davvero molto in alto per le sue ambizioni visuali, la moltiplicazione dei praticabili, lo spostamento del punto di fuga e il ricorso alla plasticità degli elementi. Nella narrazione del balletto è rappresentata l’immagine della fratellanza universale, con la tematizzazione dell’oscurantismo come opposizione alla luce della ragione: il Medioevo sfila in catene e sarà dimenticato, la Luce è una ballerina vestita di bianco che, invano, l’orrore nero dell’oscurantismo, tenta di fermare.

Marenco si trovò a scontrarsi con un mondo musicale di personaggi pieni di ambizioni; oltre che come musicista, infatti, fu uno dei pionieri del diritto d’autore in Italia, essendo stato tra i promotori della “Società degli Autori”: ne fu così combattivo animatore che gli editori ne osteggiarono costantemente la carriera.

Robbiano ha concluso la serata poi con il racconto riferito al titolo del volume: «Un giorno alcuni amici novesi si recarono a Lugano, dove risiedeva il Marenco, in bicicletta, per una visita. Si narra che, salutandoli, quando stavano partendo sulla via del ritorno, il musicista si rivolgesse a uno di loro dicendo, commosso: salut’me a Ture».

Un lungo e caloroso applauso è risuonato nel teatro cittadino, segno di apprezzamento per l’autore e, anche, per la gioia di trovarsi circondati dalla bellezza del luogo.

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