Costituzione incompiuta

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Di Ennio Chiodi

“L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro… La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme e applicazioni… La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore… Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro… I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria”. Breve estratto dagli articoli della Costituzione che si occupano del lavoro, a cominciare dal primo – l’Articolo 1 – riconosciuto come uno dei pilastri portanti della nostra Legge fondamentale. Il dibattito perennemente aperto nel Paese tra le forze politiche, sociali ed economiche dimostra, tuttavia, come, proprio su questa materia, la Costituzione sia ancora ben lungi dall’essere applicata compiutamente. Orario di lavoro e salario minimo sono periodicamente terreno di acceso confronto. La parità di diritti delle donne nelle aziende e negli uffici è oggetto di continui studi e analisi, tanto approfonditi quanto inconcludenti, ma resta nella maggior parte dei casi una chimera. Lo stillicidio di notizie sulle vittime nei luoghi di lavoro è continuo, nonostante gli impegni solenni, lo sdegno collettivo, le giornate di riflessione: si snocciolano dati inquietanti, si sensibilizza alla prevenzione, si invitano i Governi a legiferare, ma il diritto di uscire di casa per andare a lavorare e tornare sani e salvi nelle proprie abitazioni è quotidianamente violato. Poco frequentato – di questi tempi– dal legislatore è in particolare l’Articolo 4 che, nel riconoscere il diritto al lavoro, impegna le Istituzioni a promuovere le condizioni che lo rendano effettivo. Due ambiti di intervento sono fondamentalmente ancora inesplorati: il costo del lavoro e la formazione. I tentativi di agire sul cuneo fiscale e su incentivi che garantiscano ai dipendenti salari netti più alti e alle imprese di assumere con maggiore continuità, sono timidi e poco convinti. Strumenti come gli Its, gli Istituti Tecnologici Superiori per la formazione mirata post diploma, ampiamente diffusi in Europa, fanno i conti in Italia con una concezione dello studio e della formazione obsoleta e corporativa che rallenta sviluppo e occupazione. La formazione offerta a vari livelli non è del resto quasi mai in linea con le reali esigenze della imprese. È paradossale il “mismatch” di un Paese che lamenta un alto tasso di non occupazione a fronte di una spasmodica ricerca di lavoratori da parte di imprese e servizi. Politiche migratorie sconclusionate e ideologiche rendono tutto più complicato. Ci torneremo.                    

enniochiodi@gmail.com

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