Quando si correva per rabbia o per amore…

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In attesa dei Giochi Olimpici di Parigi (al via il 26 luglio) ripercorriamo le gesta del campione novese che non partecipò mai alle Olimpiadi ma che con la lettera aperta al presidente del Consiglio Nitti consentì agli atleti azzurri di essere ad Anversa

Di Matteo Sisti

Novi Ligure è una terra di destini incrociati, è culla di operai e contadini, di comunisti e borghesi, di classi sociali che combattono tra di loro. Il lavoro unisce, l’arte preferita dai Novesi è quella della fatica. Non a caso Novi è anche terra di Campionissimi del ciclismo: Costante Girardengo (classe 1893) prima, Fausto Coppi (classe 1919) poi. Papà Carlo Girardengo vuole il figlio a lavorare con sé nell’osteria con rivendita di sale e tabacchi in città, ma lui non ne vuole sapere. Costante sembra nato per pedalare e non importa che il padre un giorno gliel’abbia buttata giù dalla finestra la bicicletta. Con la bici il “Gira” va a lavorare alle officine Alfa a Tortona e percorre quotidianamente 40-50 chilometri tra andata e ritorno: questa è la prima e vera similitudine con il conterraneo Fausto Coppi, “il Grande Airone”. E per la bici Costante avrebbe fatto qualsiasi cosa, anche sfidare da giovanissimo nel 1907 il grande Dorando Pietri che sarebbe stato il vincitore morale della maratona olimpica di Londra 1908, tagliando la linea del traguardo sorretto dai giudici di gara e successivamente squalificato.

Dorando Pietri se ne va in giro per le piazze italiane a lanciare curiose sfide ai cittadini con l’intento di racimolare qualche lira. Arriva anche a Novi Ligure, in piazza del Mercato. Davanti a lui uno sbarbatello che accompagna una vecchia bicicletta: è lui, Costante Girardengo. Per vincere, il ragazzino deve terminare due giri della piazza sulla bici prima che Pietri abbia completato un giro di corsa. Girardengo parte, si getta all’inseguimento di Pietri, lo raggiunge e lo supera. Vince. Il premio: 2 lire. Viene portato in trionfo per le vie del paese: è l’eroe cittadino. Il padre si convince, comprerà una bicicletta nuova al figlio al costo di 160 lire. Nasce così la leggenda dell’Omin di Novi.

Passato professionista nel maggio 1912, Girardengo viene ingaggiato dalla formazione alessandrina Maino e nel 1913 vince il primo dei 9 titoli italiani da lui conquistati, peraltro consecutivi. Nel 1914 il “Gira” si aggiudica la tappa più lunga mai disputata al Giro d’Italia, la Lucca-Roma di 430 chilometri. A fine 1915, con l’ingresso dell’Italia nella Prima Guerra Mondiale, viene richiamato alle armi nel 5º Reggimento bersaglieri e deve interrompere l’attività agonistica.

Al rientro nel 1918 vince finalmente la Milano-Sanremo con 13 minuti netti di vantaggio sullo storico rivale Gaetano Belloni: a fine carriera le sue vittorie nella “Classicissima” saranno 6, un record battuto solamente cinquant’anni dopo da Eddy Merckx. Nel 1919 Girardengo riesce a imporsi per la prima volta al Giro: in quella corsa resta leader della classifica generale dal primo all’ultimo giorno (impresa riuscita successivamente solo ad Alfredo Binda, Eddy Merckx e Gianni Bugno). Proprio in seguito a queste sue continue vittorie (17 su 22 gare disputate in stagione, oltre al titolo nazionale a punti), il direttore della Gazzetta dello Sport Emilio Colombo conia in suo onore l’appellativo di “Campionissimo”, epiteto che verrà poi attribuito tre decenni dopo anche a Fausto Coppi.

Nel 1920 inizia un periodo con pochi successi a eccezione del titolo italiano che vince dal ’21 al ’25 consecutivamente, un momento di grande onore per il “Gira”.

Cosa c’entra l’Omin di Novi con le Olimpiadi, alle quali lui stesso non partecipò mai?

La storia, curiosa e probabilmente poco conosciuta, risale all’estate 1920. Il nostro Paese è uscito vincitore dalla Grande Guerra, la povertà cresce e le speranze per un futuro roseo precipitano. Ci si aggrappa ai miti dello sport, proprio come Girardengo.

Quell’anno sono in programma le Olimpiadi di Anversa, le seste della storia moderna. Per mandare a gareggiare i nostri atleti in Belgio, però, ci vogliono soldi che il Governo di Francesco Saverio Nitti non ha. È proprio in quel momento che interviene il Campionissimo, il quale prende carta e penna e scrive al presidente del Consiglio. “L’Italia non deve disertare le Olimpiadi. Una adunata mondiale che offre al Governo l’occasione per iniziare una sana politica: quella del miglioramento del materiale umano”. Poche righe colme di amor patrio che fanno cambiare idea a Nitti, il quale risponde promettendo di provarci. Parte la sottoscrizione che consente alla nostra spedizione di arrivare in Belgio. È un successo: 13 medaglie d’oro, 5 d’argento, 5 di bronzo e settimo posto nel medagliere. Un trionfo firmato, in parte, anche dal “nostro” Campionissimo.

Il novese vanta nel proprio palmares alcuni primati difficilmente superabili ma non partecipa mai invece al Tour de France né vince il Campionato del Mondo.

Nell’edizione iridata inaugurale, quella del 1927, si classifica secondo alle spalle di Alfredo Binda. La rivalità tra questi due grandi campioni appassiona per molti anni le folle dei tifosi anticipando quella che, più tardi, avrebbe diviso gli italiani in “bartaliani” e “coppiani”. Nel 1929, ai Mondiali di Budapest, i due si controllano con tanta prudenza da lasciarsi staccare irrimediabilmente fino all’inevitabile ritiro di entrambi. Uno scandalo che la Federazione punisce con sei mesi di squalifica. Per il vecchio “Gira” non ci sono più occasioni di riscatto.

Prima del ritiro agonistico previsto quattro anni più tardi, nel 1932 nasce il mito degli amici Sante Pollastri e Costante Girardengo che diventano “il bandito e il campione” in una sera a Parigi dove si incontrano dietro le quinte di una manifestazione in pista. Il Campionissimo teme di essere coinvolto in uno scandalo mentre la polizia cerca Sante dappertutto. Il suo massaggiatore Biagio Cavanna (noto ai più come il “mago di Novi”) lo riconosce da un fischio: si fermano a parlare con lui e gli danno appuntamento a Novi Ligure. Sante non ci arriverà mai, lo arrestano prima. Il Campione in fuga dagli avversari, il Bandito in fuga dalla legge: questa è la loro vita, la leggenda li vuole amici come fratelli, divisi dal destino.

A Luigi Grechi (fratello di Francesco De Gregori) capita un giorno di sentire questi racconti di paese e in dieci minuti scrive quel capolavoro musicale che è Il Bandito e il Campione. Per la prima volta (e per il momento unica) Grechi mette lo sport dentro a una canzone. De Gregori invece ha già scritto nel 1982 La leva calcistica del ’68, dove il pallone c’è già nel titolo. In un caso Nino non deve avere paura di tirare un calcio di rigore, nell’altro su quello stradone vola Costante perché “Sante è sempre più lontano, è sempre più distante…”.

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