Jannik vuole solo giocare

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Di Ennio Chiodi

Eh no, Jannik, così non va! Va bene essere corretti, d’accordo il fair play, ma adesso stai esagerando. Perdere un incontro fondamentale per il ranking mondiale e per il prestigio personale e di squadra – a un passo dalla vittoria, solo per non voler segnalare un evidente errore arbitrale, è accadimento davvero raro – di questi tempi– nel mondo ipercompetitivo dello sport e in particolare del tennis. Il teatro è Montecarlo, l’occasione il torneo 1000 ATP, uno dei più prestigiosi e ricchi del mondo. Sarebbe stato sufficiente che Jannik Sinner interrompesse il gioco e chiedesse alla giudice arbitro Aurelie Tourt di verificare l’impronta sulla terra rossa della palla, finita evidentemente fuori, e si sarebbe visto aggiudicare un gioco decisivo. A quel punto la partita era vinta e Jannik avrebbe potuto giocare con ottime possibilità di successo la finale del torneo. Ma no! Jannik non l’ha fatto, pur essendosi reso conto del clamoroso sbaglio a suo danno. «Non è il mio lavoro: io devo giocare. Se la palla è fuori se ne deve accorgere l’arbitro. E comunque ognuno può fare errori. Dobbiamo accettarlo, non c’è altro da fare.» Così, semplicemente. La rabbia però c’era e in un contesto di grande tensione – ha fatto il resto: nervosismo, crampi e partita persa. Se dovessimo leggere questo atteggiamento del giovane campione sudtirolese in contesti più ampi e delicati, potremmo parlare di rispetto per le Istituzioni, per la divisione dei ruoli, per regole accettate e condivise. Il torto fa male, ma a Jannik – più determinato di prima non mancheranno le occasioni per rifarsi e ristabilire le distanze reali, quelle definite dal talento e dal lavoro. Quello che colpisce è il disappunto (confesso: anche il mio) che si legge nei commenti di giornalisti e tifosi. Quasi che Jannik debba vincere più per noi che per lui, anche a costo di venir meno ai suoi principi umani e sportivi. Trarrà vantaggio anche da questa lezione e si renderà conto che, talvolta, far valere i propri diritti, con rispetto e correttezza, è anche più giusto che accettare, a priori, la sentenza di un giudice, qualunque sia l’ambito in discussione. Si tratta, comunque, di una lezione preziosa da trasmettere, senza retorica, ai nostri ragazzi: costruire e difendere con tenacia il proprio destino, partendo dai talenti che la fortuna, la famiglia e le nostre doti personali ci offrono. Capita, nelle vicende della vita, di viaggiare leggeri verso certi traguardi o di subire stop arroganti e iniqui. Saranno quei talenti, con la nostra dignità, a proteggerci anche quando altri dovranno magari stabilire per noi il giusto e l’ingiusto. Almeno, così mi auguro che sia.

enniochiodi@gmail.com

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