“Chiamati a seminare la speranza e a costruire la pace”

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Il 21 aprile la Chiesa ha celebrato la Giornata mondiale per le vocazioni. Abbiamo chiesto ai giovani del cammino propedeutico in seminario che cosa significa per loro aver ricevuto la “chiamata”. La Chiesa tortonese è invitata a pregare perché il Signore “mandi operai nella sua messe”

TORTONA – Il 21 aprile, “domenica del Buon Pastore”, la Chiesa ha celebrato la 61^ Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni. Il tema “Chiamati a seminare la speranza e a costruire la pace”, che l’Ufficio Nazionale per la pastorale delle vocazioni ha scelto, intende cogliere l’invito di Papa Francesco a creare ambienti adeguati nei quali sperimentare il miracolo di una risposta generosa e feconda all’invito del Signore, secondo quanto già il Papa scriveva ai giovani: “Fare ‘casa’ […] è imparare a sentirsi uniti agli altri al di là di vincoli utilitaristici e funzionali, uniti in modo da sentire la vita un po’ più umana. Creare casa è permettere che la profezia prenda corpo e renda le nostre ore e i nostri giorni meno inospitali, meno indifferenti e anonimi. È creare legami che si costruiscono con gesti semplici, quotidiani e che tutti possiamo compiere […]. Così si attua il miracolo di sperimentare che qui si nasce di nuovo […] perché sentiamo efficace la carezza di Dio che ci rende possibile sognare il mondo più umano e, perciò, più divino” (Cf. Francesco, Christus vivit, 216-217). Prima che di un edificio, si sente la necessità di contesti di incontro, in cui si respiri uno stile di fraternità, di impegno, lavoro e soprattutto di preghiera poiché la vocazione ha bisogno di un terreno buono perché possa attecchire e fiorire. Per questo anche nella nostra diocesi, per desiderio del vescovo Guido, già dal settembre 2022 si è andata a costituire una comunità residenziale per favorire il discernimento e l’ascolto della voce del Signore. Ora questa comunità è composta da 6 giovani, i quali si trovano impegnati nel cammino propedeutico, vivendo la gioia e la trepidazione di scegliere ogni giorno di seguire il Signore. A loro assicuriamo la nostra preghiera.

Don Claudio Baldi

Le testimonianze dei giovani del cammino vocazionale

Esiste un particolare essere umano in via di estinzione! Sì, non sto scherzando, è un essere umano a cui si dà il nome di seminarista. Io faccio parte di questi pochi; ci stiamo estinguendo e bisogna pregare perché questo non succeda. Il seminarista è qualcuno che si è messo in gioco e, come nel mio caso, ha lasciato la propria famiglia, il proprio lavoro, e ha deciso di seguire Gesù, e un domani essere prete. Gesù è la cosa più bella che ho, Lui mi basta. Voglio seguire Gesù che da duemila anni è sulla croce con le braccia spalancate, e, afferrando bene quelle mani, con Lui a fianco percorrere le strade di questo mondo, per portarlo a tutti, soprattutto a chi ancora non lo conosce. Gesù, ancora oggi, chiama e chiede di seguirlo, in un mondo che non vuole rispondere a questa chiamata, perché impegnato ad ascoltare tutto tranne la voce che dice: «Vieni! Seguimi!» e «Pregate il padrone della messe che mandi operai nella sua messe!». Il seminarista è merce rara e preziosa e va custodita in una cassaforte speciale: il cuore di ognuno. Custoditemi, per favore, nel vostro cuore. E custoditemi con la preghiera. Pregare è la cosa più bella e importante che potete fare per me. Abbiamo bisogno di vocazioni non perché ci sono tante cose da fare, nelle parrocchie, negli oratori, e se non c’è il prete si pensa che nessun altro le può fare; abbiamo bisogno di vocazioni perché c’è la necessità di chi porti, tra le inutili parole del mondo, l’unica Parola interessante, quella di Nostro Signore Gesù Cristo, del suo Vangelo! Abbiamo bisogno di vocazioni perché è urgente parlare al mondo di una realtà meravigliosa di cui non si parla più, la vita eterna, che prima di essere una speranza per il futuro è un’esigenza per il presente! Ecco perché bisogna pregare per le vocazioni. Il Signore Gesù non respingerà la preghiera e farà in modo che questo particolare essere umano, il seminarista, non vada in estinzione.

Matteo Albareda

Quando penso alla vocazione mi viene in mente la chiamata unica e irripetibile che il Signore rivolge alla mia vita, perché ogni giorno sento il desiderio nel cuore dell’amicizia con il Signore, che sto coltivando da due anni nel seminario di Tortona. Così questa giornata è sempre una bella occasione per ricordare con gratitudine davanti al Signore l’impegno fedele, quotidiano e, spesso, nascosto di coloro che hanno abbracciato una chiamata che coinvolge tutta la loro vita, perché in questo dono totale siano felici.

Simone Brizio

Quando penso alla vocazione, faccio spesso riferimento a un’immagine, quella del sogno di san Giuseppe, come presentato biblicamente. Da un punto di vista di fede, infatti, il sogno non è un’attività dell’uomo, bensì quel luogo in cui egli non agisce, anzi abbandona tutte le proprie difese e i propri programmi ed è proprio lì che Dio gli parla, che la chiamata del Signore lo raggiunge, segnando per sempre la sua vita. A me è accaduto po’ così, cioè non è stato tanto un progetto, quanto una situazione nella quale ho ascoltato la voce del Signore che mi chiamava e questo è avvenuto quando avevo più o meno sedici anni e frequentavo il liceo, avvertendo un grande fascino per il Signore e il desiderio di donargli tutta la mia vita. Un desiderio che, con il passare del tempo, è cresciuto e maturato in me sempre di più. Ad aiutarmi in questo cammino sono stati due elementi: la bellezza della Liturgia, che ho scoperto già da ragazzo con l’aiuto dei miei genitori e del parroco e che da allora ho sempre amato, riconoscendo in essa un luogo privilegiato di incontro con il Signore e la bellezza del conoscere Dio, soprattutto negli anni di università. In questo tempo ho capito che non basta conoscere Dio e le cose di Dio, ma è necessario che una tale conoscenza abbia poi una ricaduta sulla vita e sia alla base di un amore sempre più intenso. La vocazione non è legata a un merito particolare, ma è l’iniziativa sorprendente dell’amore di i Dio che con la Sua opera trasforma in profondità la vita di colui che è chiamato, rendendolo idoneo alla missione. Con questi sentimenti nel cuore, dopo un periodo di discernimento, ho intrapreso con gioia, ma anche con un po’ di timore e tremore, il cammino formativo in Seminario, che sto vivendo insieme ai cinque confratelli che condividono con me le gioie e le fatiche di ogni giorno, nella sequela del Signore Gesù, Vita della nostra vita, nostro Tutto.

Federico Colombo

Penso che il termine “vocazione” racchiuda in sé un ampio significato. Ognuno di noi è chiamato primariamente alla vita e a rispondere a tale chiamata ricercando il senso pieno e vero della propria esistenza. Osservando la “mia storia”, vedo un cammino vocazionale nato in una famiglia, cresciuto nel lavoro, vissuto nella Chiesa e nelle relazioni. Ritengo che qualsiasi vocazione prenda forma e visibilità dalle proprie esperienze e – oserei dire – soprattutto da quelle più faticose e meno entusiasmanti. Oggi comprendo che ogni esperienza è stata ed è incontro con il Signore Gesù vivo e presente nel mio cammino e nella mia vita, fragile, debole, insicura, ma rivolta a Lui nella certezza del suo sguardo! In conclusione mi siano permesse due minime considerazioni: con la mente, mai dare nulla di scontato in un percorso di discernimento vocazionale e nel cuore lasciare sempre un piccolo spazio alla fantasia di Dio!

Giuseppe Giorgi

Anzitutto quando parliamo di vocazione dobbiamo pensare che ognuno di noi è chiamato a vivere la sua vocazione; che sia nel sacerdozio, nella famiglia, nel lavoro ogni uomo sulla terra è chiamato da Dio, invitato da Lui ad essere felice. Proprio di felicità si tratta, vivere la propria vocazione vuol dire vivere felici!  Personalmente ho risposto alla chiamata del Signore perché ho capito che solo con Lui potevo davvero essere felice, completo; prepararsi alla propria chiamata è prepararsi a dare la vita per i fratelli e per Dio. Riguardo a come è nata la mia vocazione, tutto è iniziato appena finite le scuole superiori quando mi è sorta la domanda “perché non io? Forse il Signore mi sta chiamando a questa scelta?” Aiutato dalla famiglia, dagli amici e da alcuni sacerdoti ho deciso che dovevo provarci, mettermi in gioco per essere felice.  Il percorso è stato un po’ tortuoso, anche con qualche difficoltà, ma il Signore non mi ha fatto mai sentire solo, mi ha donato gli strumenti per superare ogni ostacolo non chiedendomi mai niente di più di quello che avrei potuto dare. Posso davvero rendere grazie a Dio di questa vocazione, per il bene che ha operato in me e anche attraverso di me e pregarlo sempre affinché mandi nuove vocazioni alla sua Chiesa, giovani capaci di rispondere “sì” alla sua chiamata.

Alessandro Morea

Per me rispondere a cos’è una vocazione è rispondere ad una semplice ma impegnativa domanda: “Che cosa è per te la felicità?” La vocazione al sacerdozio, come tutte le altre vocazioni, è un cercare di dare una risposta a questa domanda, che più volte bisogna porsi nella vita. Quando Dio pensa a ognuno di noi, ci pensa felici. Il mio arrivare in seminario a Tortona è frutto di risposte che ho dato molte volte a questa domanda. Quindi il mio discernimento vocazionale è semplicemente dare un nome a questa “beata inquietudine” che sta prendendo forma nel dare la vita a Dio, alla Chiesa e al mondo vivendo nel mondo e testimoniare a tutti un cuore infiammato di felicità pura che solo dall’ incontro di amore con Dio e il prossimo possiamo avere.

Vincenzo Selvaggio

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