Per leggere, inserire il Pin

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di Arianna Ferrari e Andrea Rovati

LEI

Amando la linguistica ho sempre dato molta importanza alle parole e all’uso che ne viene fatto. In gergo tecnico a ogni significante deve corrispondere un significato, ossia un’area semantica che definisca il termine dandogli caratteristiche di realtà e di senso comune condiviso. Se dico “sedia”, credo che ognuno penserebbe a un oggetto con quattro gambe dove ci si accomoda. Mi piace ripetere che le parole sono cose, cioè vanno usate con attenzione in quanto definiscono la realtà. Tutto questo preambolo per inveire contro la locuzione “semplificazione tecnologica digitale”. Innanzitutto per me c’è una contraddizione in termini: sono nata nel secolo scorso e dunque parole come “tecnologia” e “digitalizzazione” non posso associarle al concetto di semplicità… ma forse è un problema soltanto mio. Tuttavia negli anni ho dovuto per forza adeguarmi e ho collezionato una serie infinita di username e password per agire nel mondo: lavoro, acquisti, vacanze, banca, sanità etc. Non esiste più una sola cosa che non richieda Spid, Cie o credenziali varie. E se per disgrazia dimentichi o sbagli qualcosa è il preludio dell’apocalisse. Numeri verdi, anni luce di attesa, voce virtuale che invita a digitare 1, 2, 3 e non se ne viene a capo. Mi innervosisco perché so che per sopravvivere devo adattarmi (mi rassegno all’estinzione) ma per il tempo che mi resta vorrei che dietro alle parole ci fossero verità e realtà. Non è semplice affatto. Usate il termine giusto: “complicazione”… almeno non mi illudo.

arifer.77@libero.it

LUI

App: ne ho molte, le scarico, ne parlo disinvolto; non sono un nativo digitale ma mi muovo bene in questo mondo, sono moderno io; username, password, Pin: alcuni li ricordo, altri li ho segnati, altri me li ricorda il telefono (quando ne ha voglia). Ma cosa vuol dire “applicazione”? Be’, è una… cosa che c’è sul telefono e che consente di fare cose. Di più però non saprei aggiungere e inizio a perdere un po’ di sicurezza. Ci rifletto e mi rendo conto che sarebbe impossibile vivere senza app, realizzo che per la mia vita ho bisogno di qualcosa che non so cos’è; dalla baldanza iniziale passo a una sottile inquietudine. Pausa del lavoro, apro una app della banca e mi chiede il Pin; il Pin? Io entro con il riconoscimento facciale, cos’è ’sta storia del Pin? Faccio alcuni tentativi e si blocca tutto. Da lì in poi il delirio: il numero verde, un primo dialogo surreale con un assistente virtuale; «vorrei parlare con un operatore» ripeto più volte, prima calmo, poi adirato, poi quasi implorante; un secondo dialogo con un essere umano, anche lui impotente, un giro a vuoto a un bancomat dove il mio telefono si rifiuta di parlare con un’altra… cosa digitale con degli 0 e degli 1. Ho bisogno di persone in carne e ossa: vado alla filiale ma anche lì niente, parlano con l’AI e col poveretto del numero verde, litigano e alla fine mi dicono di tornare il giorno dopo. Ci torno, stesso risultato. Domani nuovo round. Ma che cos’è un’app? Non lo so, avrei solo voluto che non fosse entrata nella mia vita.

andrea.rovati.broni@gmail.com

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