«Più leggera dell’aria»

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È una delle definizioni che la critica ha coniato per definire Carla Fracci, scomparsa all’età di 84 anni lo scorso 27 maggio.

Una figura che non necessita di “coccodrilli” che ripercorrano in tono celebrativo le tappe di una sfolgorante e lunghissima carriera, ma che ci ha lasciato una grande eredità come donna e come artista.

Il ricordo di Carla Fracci che si libra, quasi incorporea, nei virtuosistici “voli” che l’hanno resa immortale, stride fortemente con i modelli danzanti che oggi la televisione ci propone: procaci fanciulle, le cui forme strabordano da succinti costumi di scena, ancheggiano con espressioni stereotipate che vorrebbero essere provocanti, ma finiscono per essere monotone nella loro fissità.

Il divario è tra una femminilità eterea e quasi fatata e una gridata ed esibita; tra un modello di donna divenuta un mito anche grazie alla costante umiltà («I miei erano dei lavoratori, padre tranviere, madre operaia, mi hanno insegnato che il successo si deve guadagnare. E io ho lavorato, lavorato, lavorato…») e un altro basato sulla semplice esteriorità e sui doni che madre natura (o più spesso il chirurgo estetico) ha elargito.

«Eterna fanciulla danzante» così il poeta Eugenio Montale definì Carla Fracci. Rivedendo le sue esibizioni, anche molto recenti, si assiste all’evanescente celebrazione di un tecnicismo mai disgiunto da una profonda, a volte quasi sofferta, partecipazione e identificazione psicologica con il personaggio interpretato.

La Fracci ha voluto poi perpetuare e condividere il proprio straordinario corredo tersicoreo con le giovani generazioni di danzatori, donando, mediante l’insegnamento, tutta l’esperienza raccolta in anni di carriera: una perla rara in un mondo, come quello dello spettacolo, in cui spesso predominano invidie e vendette, non sempre velate, tra prime donne.

 “Carlina” – come era affettuosamente chiamata dai colleghi del Teatro alla “Scala” – non è stata solo danza: l’indefesso impegno artistico non si è disgiunto né dall’impegno militante (nel 2003 ha ricevuto l’onorificenza italiana di Cavaliere di Gran Croce e l’anno seguente la nomina ad Ambasciatrice di buona volontà della FAO), né dalla dedizione alla famiglia, che ha sempre protetto in una sfera riservatissima.

Le esequie hanno visto la partecipazione di moltissima gente comune, a ulteriore conferma dell’ammirazione che la Fracci ha saputo suscitare. Mi ha colpito che le persone intervistate la chiamassero semplicemente per nome: «Carla, una grande artista, ma una donna come noi».

Virna Toppi, prima ballerina alla “Scala”, ne traccia un sintetico ma pregnante ritratto: «Com’era in scena, lei era in sala. E com’era in sala era fuori dal teatro. Quello che ci ha insegnato è l’importanza di essere sempre noi stesse, all’interno della scena e all’esterno».

silviamalaspina@libero.it

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