«L’Iraq rimarrà sempre con me, nel mio cuore»

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È stata una visita storica quella di Papa Francesco in Iraq dal 5 all’8 marzo, la prima di un Pontefice in un Paese a maggioranza sciita. Un pellegrinaggio desiderato da tempo, che ha permesso di abbracciare un popolo che ha tanto sofferto e ha maturato la volontà di costruire la pace

Il primo risultato della visita di Papa Francesco in Iraq è stato ottenuto subito dopo il suo rientro in Italia, quando il premier Mustafa al Kadhimi ha dichiarato che in futuro il 6 marzo sarà la Giornata nazionale della tolleranza e della coesistenza. Un modo per “celebrare” e ricordare gli storici incontri di Najaf tra l’Ayatollah Ali Al Sistani e il Pontefice e di Ur dei Caldei. Il patriarca caldeo di Baghdad, card. Louis Raphael Sako, ha raccontato di essersi recato lunedì 8 marzo in nunziatura per salutare Francesco in partenza e di avergli chiesto se fosse felice. Lui, sollevando le braccia, ha risposto: «Sì, tanto!». Il card. Sako ha detto: «Il dono più bello è stata la sua presenza tra di noi. Un qualcosa di eccezionale che tutti hanno voluto assaporare. Alle celebrazioni hanno partecipato più di 150 musulmani. Erano presenti tantissime autorità, diplomatici e ministri. Un fatto davvero commovente». «Gli iracheni – ha aggiunto – erano uniti come un solo popolo per la presenza del Papa. Anche chi osteggiava la visita, chi era scettico, ha dovuto ricredersi. Il capo di Stato iracheno ha ribadito il suo impegno nel redigere una sorta di “magna charta” per il futuro dell’Iraq, che preveda il rispetto dei diritti e delle diversità, per la rinascita, il progresso e la prosperità del nostro Paese».

Primo giorno

Il primo giorno del primo Papa della storia a mettere piede sul suolo iracheno è stato caratterizzato dalla visita al palazzo presidenziale di Baghdad e alla cattedrale siro-cattolica di “Nostra Signora della Salvezza”, dove il 31 ottobre del 2010 furono uccise 48 persone, tra cui due sacerdoti, per i quali è in corso la causa di beatificazione. In entrambi i momenti Francesco ha rivolto un accorato appello alla pace, di cui ha sete un popolo martoriato che ancora porta incise nei cuori le «ferite di tante persone e comunità che avranno bisogno di anni e anni per guarire». Quello lanciato dal Papa non solo agli iracheni, ma a tutto il mondo in questo tempo di pandemia, è stato un invito a «camminare insieme, come fratelli e sorelle». È necessaria, infatti, una vera inversione del cammino per rimuovere il peso di «morte, distruzione e macerie» ancora oggi visibile in Iraq e provocato dal fondamentalismo «che non può accettare la pacifica coesistenza di vari gruppi etnici e religiosi, di idee e culture diverse».

Secondo giorno

Il 6 marzo a Najaf si è svolto l’atteso incontro di Francesco con il Grande Ayatollah Sayyid Ali Al-Husayni Al-Sistani nella sua residenza privata. Non si è trattato di una visita di “cortesia” ma di un importante colloquio privato, senza la presenza dei media. Solo alla fine sono state pubblicate le foto che ritraggono i due leader religiosi, seduti l’uno a fianco all’altro, in una stanza semplicissima. È stata questa l’occasione per Francesco di ringraziare il Grande Ayatollah perché, assieme alla comunità sciita, di fronte alla violenza e alle grandi difficoltà degli anni scorsi, ha levato la sua voce in difesa dei più deboli e perseguitati, affermando la sacralità della vita umana e l’importanza dell’unità del popolo iracheno. L’Ayatollah al-Sistani, oggi novantenne, è il più importante e venerato nel mondo sciita e ha seguito tutti gli sconvolgimenti politici, le rivoluzioni, le guerre e le ricostruzioni che si sono succedute nella storia di questo Paese.

Nella seconda parte della giornata la visita è proseguita nella piana di Ur, la città santa, terra del Padre Abramo, citata dalla Sacra Bibbia e nel Sacro Corano, dove si è svolto l’incontro interreligioso dei rappresentanti cristiani, musulmani, sabei e yazidi, durante il quale il Papa ha lanciato un nuovo appello alla fraternità. Dalla piana si sono levate le voci che hanno intonato le letture tratte dal Libro della Genesi e da un brano del Corano e tutti insieme hanno recitato in lingua araba una preghiera. Nell’omelia della Messa, celebrata nella cattedrale caldea di San Giuseppe, il Papa ha riletto le Beatitudini: «L’amore è la nostra forza, la forza di tanti fratelli e sorelle che anche qui hanno subito pregiudizi e offese, maltrattamenti e persecuzioni per il nome di Gesù».

Terzo giorno

Nell’ultimo giorno in terra irachena, domenica 7 marzo, Papa Francesco ha scelto di pregare per un futuro di pace e fraternità di fronte alle macerie della piazza delle quattro chiese di Mosul, che in una sola notte ha visto fuggire oltre 120 mila cristiani, in mezzo alla distruzione lasciata dalla “tempesta disumana” dell’Isis. «Il terrorismo e la morte non hanno mai l’ultima parola», ha ripetuto anche a Qaraqosh, la più grande comunità irachena a maggioranza cristiana, che ha incontrato nella cattedrale dell’Immacolata Concezione.

Nel pomeriggio si è recato a Erbil, capitale del Kurdistan, dove, nello stadio “Franso Hariri”, ha celebrato la Messa della terza domenica di Quaresima. Prima, però, ha incontrato Abdullah Kurdi, il padre del piccolo Alan, il bambino di tre anni naufragato mentre con la famiglia tentava di raggiungere l’Europa con il fratello e la madre, sulle coste turche, nel settembre 2015 ed è stato immortalato riverso sulla spiaggia, con una maglietta rossa e i pantaloncini blu. Poi, davanti a 20 mila persone raccolte per la celebrazione eucaristica, Francesco ha chiesto agli iracheni di essere «strumenti della pace di Dio e della sua misericordia, artigiani pazienti e coraggiosi di un nuovo ordine sociale».

«Oggi posso vedere e toccare con mano che la Chiesa in Iraq è viva, – ha esclamato il Santo Padre – che Cristo vive e opera in questo suo popolo santo e fedele». «L’Iraq rimarrà sempre con me, nel mio cuore»: queste le sue ultime parole rivolte a tutti presenti, nella certezza che si potrà «lavorare insieme in unità per un futuro di pace e prosperità che non lasci indietro nessuno e non discrimini nessuno». Il mondo sciita, da parte sua, ha confermato la volontà che il dialogo continui, si sviluppi e non si fermi.

Daniela Catalano

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