“Il Grande Torino è patrimonio di tutti”

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Il ricordo di Bruno Cipolla, presidente della Pallacanestro Femminile “Broni 93”

BRONI – “Bacigalupo, Bal-larin, Maroso, Grezar, Riga-monti, Castigliano, Menti, Loik, Gabetto, Mazzola, Ossola”. Bruno Cipolla, presidente della Pallacanestro Femminile Broni 93, ripete a memoria, come una poesia, la formazione del Grande Torino. A 70 anni dalla tragedia di Superga, il ricordo degli Invincibili è ancora vivo nella memoria dei sostenitori granata.

Il cuore di Cipolla è diviso a metà, tra il Toro ed il biancoverde della squadra di pallacanestro rosa della sua città, che ha portato ai vertici del massimo campionato nazionale. Ma con il campionato di basket in archivio, in queste ore c’è spazio solo per il Toro. “Il primo a parlarmi del Grande Torino fu mio papà Donato quando ero ancora piccolo. – spiega Cipolla – Lui era interista ma mi raccontava negli anniversari di Superga delle gesta di quel Torino.

Mi raccontava di quando Oreste suonava la tromba ed iniziavano quei 15 minuti di tremendismo granata dove Valentino Mazzola rimboccandosi le maniche dava il segnale alla squadra e dal quell’istante non c’era più niente da fare per nessuno, i granata si lanciavano all’attacco e vincevano le partite. Rappresentò la rinascita italiana dopo la distruzione e la miseria lasciate dalla seconda guerra mondiale. Mio pa-pà mi disse che il Grande Torino era patrimonio di tutti”. “Sono sincero – continua Cipolla – da ragazzino ero simpatizzante del Milan ma quando arrivò la convocazione, che conservo con grande cura, per partecipare al provino nel Torino iniziai la mia ‘conversione’ verso il granata. Era il marzo del 1979, poi ci fu un rinvio di qualche mese per il grave incidente automobilistico sulla riviera ligure, in cui rimase ferito il grande Gigi Radice. Feci una sola annata e con poche presenze perché a quei tempi il vivaio granata era tra i migliori d’Italia e quindi c’era grande concorrenza. Giocai da stopper e vestire quella maglia mi fece capire tante cose che mi raccontavano sulla magia di questa società.

Mi insegnarono oltre al calcio i valori dell’umiltà, del non arrendersi mai e di mettere sempre grande cuore, valori che porto ancora adesso e che cerco di insegnare a mio figlio e alle mie ragazze del basket. In quegli anni il vivaio sfornava grandi nomi: Cravero, Benedetti, Comi, Lentini, Francini, tutti ragazzi che dopo si sono distinti nei principali campionati italiani”. “Finita la mia stagione al Torino arrivai a Broni, dove i miei nuovi compagni notarono la grande trasformazione fisica e tattica acquisita in quel solo anno. Papà Donato, giustamente, con il senno di oggi, metteva in primo piano lo studio e quindi lasciai il calcio con grande dispiacere ma portai con me il grande ricordo e il grande onore di avere indossato quella maglia. Una maglia che trasmette valori per una società afflitta da lutti; perché, oltre il Grande Torino, vanno ricordati Gigi Meroni e capitan Ferrini. Da allora la mia fede non cambiò più e capii ancora di più cosa significasse il Grande Torino e quali emozioni trasmettesse.

Credo che solo uno del Toro possa capire”. Adesso i tifosi del Toro sognano: “Nel 70° anniversario di Superga sarebbe la classica ciliegina sulla torta riuscire ad entrare in Champions League. – conclude Cipolla – Sarebbe il riconoscimento migliore per quegli eroi e il riconoscimento migliore per il presidente Urbano Cairo e il suo staff che ha riportato in pochi anni la squadra dal fallimento ad assaporare il quarto posto. Purtroppo la Coppa dei Campioni, poi diventata Champions League, è stata introdotta dalla Uefa a metà degli anni ’50. Peccato, perché sono convinto che se quel Grande To-rino avesse potuto disputarla, oggi avremmo cinque coppe con le “grandi orecchie” in bacheca.

Se dovessi esprimere un desiderio congiunto tra granata e bronese dico che mi piacerebbe venisse intitolato al Grande Torino il parcheggio antistante lo stadio comunale di via Ferrini a Broni, ma questa è storia futura”.

Franco Scabrosetti

Il nostro direttore, vecchio “cuore granata”

Ama definirsi “Vecchio cuore granata” e il lunedì in redazione non manca mai un commento sull’ultima partita di campionato del “suo” Torino. Stiamo parlando del direttore del nostro settimanale, mons. Pier Giorgio Pruzzi.

È così da tanti anni e pure noi – Daniela, Marco e Matteo – che granata non siamo, non possiamo rimanere insensibili al fascino che la maglia del Toro ancora oggi suscita tra gli appassionati di calcio.

Soprattutto non possiamo non emozionarci all’ascolto del racconto di cosa ha rappresentato questa squadra e soprattutto di quanto la tragedia di Superga ha segnato quei ragazzi, quegli uomini e quelle donne che il Torino faceva sognare. E sappiamo bene quanto il Paese, in quegli anni, avesse bisogno di sogni, di speranze, di futuro, di riscatto. “Essere granata era per noi, poco più che bambini – racconta don Giorgio – una scelta naturale. Si tifava Torino perché quei ragazzi incarnavano un mito, un ideale che ci faceva stare bene, che ci trasmetteva entusiasmo e passione. Per il calcio c’era il Toro. Gli altri nostri idoli erano o Coppi o Bartali”.

“Avevo 9 anni – continua il direttore – e durante il mese di maggio nella mia piccola frazione della Piana di Codevilla tutti i bambini e i ragazzi andavano nell’oratorio dedicato a San Rocco per la recita del santo Rosario.

Al termine della funzione, un signore tra i pochi che possedeva allora la radio, è venuto a comunicarci la triste notizia. L’areo che trasportava il Toro si era schiantato contro la basilica di Superga e tutti i passeggeri erano morti. Io ‘vecchio cuore granata’, anche se in giovanissima età, mi sono seduto su un mucchio di ghiaia ai bordi della strada e con alcuni amici ci siamo messi a commentare il fatto con le lacrime agli occhi”. 

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