Il compito rischioso e delicato di chi lavora per le ditte di Onoranze Funebri

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«Siamo dimenticati. E senza i dispositivi di protezione»

Lunedì scorso tra le tante notizie trasmesse dai telegiornali e sul web c’era anche quella della revoca dello sciopero delle pompe funebri di Bergamo, che chiedevano maggiore attenzione per la categoria. Da quando è cominciata l’emergenza Coronavirus, i numeri ci parlano di migliaia di morti e il pensiero va al dolore delle famiglie e al dramma della vita che si spegne nella sofferenza e nella solitudine, ma spesso ci si dimentica di tutte le persone che lavorano come operatori delle pompe funebri e che hanno il triste compito di garantire una degna sepoltura ai defunti.

Alessandro Bosi, segretario della Feniof (Federazione nazionale imprese onoranze funebri), in un’intervista ad Adnkronos, parlando della situazione attuale ha dichiarato: «L’aumento dei morti comporta un notevole problema di logistica cimiteriale, perché i picchi di mortalità vanno a congestionare gli ambiti di deposito in attesa del seppellimento o della cremazione».

Noi abbiamo chiesto a Roberto Massoni, titolare dell’agenzia di famiglia “Gabetta”, come sta vivendo il suo settore questo periodo difficile e cosa vuol dire essere in prima linea, a volte senza neanche adeguate protezioni.

“Gabetta” opera dal 1947 nelle sedi di Casteggio e Voghera e, grazie alla consolidata esperienza, conosce molto bene la realtà locale. Roberto ha esordito affermando: «Facciamo parte di quelle categorie che sono definite “socialmente utili” e che non si possono mai fermare. Siamo quei soggetti che tutti si dimenticano di citare, i “lavoratori nell’ombra”».

Parlando di questi giorni dichiara: «Il nostro lavoro a causa del Coronavirus è stato stravolto come la nostra vita sociale. La chiusura di tutti i luoghi di culto ha comportato il blocco delle funzioni sacre e questo ha significato rivedere completamente i parametri lavorativi. Inoltre la Sanità Regionale ci ha obbligato a evitare la vestizione dei defunti e costretto all’immediata sigillatura del feretro per ragioni di igiene pubblica. Se prima avevamo una “divisa” di lavoro istituzionale, ora dobbiamo indossare tute, mascherine e calzari per evitare una possibile infezione».

«Il problema – aggiunge – è che nessuno all’inizio di questa vicenda ci aveva avvisato che potevamo trovarci di fronte una situazione potenzialmente pericolosa e non sempre è facile trovare tutte le protezioni necessarie».

«Il nostro territorio – prosegue – da circa un mese è interessato da una mortalità importante, una situazione eccezionale analoga ad altre zone delle nostre regioni. Per tranquillizzare tutti, però, vorrei ricordare che la morte non è un’“anomalia” momentanea, ma purtroppo fa parte del nostro quotidiano, anche se a volte lo dimentichiamo o non ci pensiamo».

Gabetta sta lavorando senza sosta, 24 ore su 24, e tutto questo è possibile grazie ai membri dello staff, che Massoni definisce «professionisti esemplari, pronti a spendersi con dedizione e impegno per la nostra comunità». Non manca la collaborazione fra le imprese del settore, ma solo in zone contigue non essendo possibile compiere spostamenti in altre realtà.

L’appello che lancia Roberto è simile a quello che arriva anche dagli altri operatori necrofori italiani: «Noi, come il personale sanitario, soffriamo della mancanza di dispositivi di protezione come mascherine, tute e disinfettanti necessari per sanificare i mezzi e gli abiti da lavoro. Chiediamo quindi di essere inseriti in quelle categorie che sono rifornite di questi materiali con priorità».

«Abbiamo avuto la sensazione che, soprattutto all’inizio, non ci si sia stata la dovuta preoccupazione per quanti svolgevano il proprio dovere e che siano stati lasciati soli».

Anche il rapporto con le famiglie dei defunti è molto cambiato. «In questo momento prevalgono paura e diffidenza, per cui i contatti avvengono per la maggior parte telefonicamente.

Noi, però, non facciamo mai mancare la nostra vicinanza e la solidarietà ai parenti che spesso sono obbligati a stare in quarantena e non possono muoversi da casa.

Ci occupiamo di tutto, cercando di rendere meno doloroso un distacco lacerante».

«Prevale anche in noi lo sconforto di non poter onorare come si dovrebbe la memoria dei defunti. – conclude – Alle benedizioni possono partecipare solo i familiari stretti e questo rende la cerimonia quasi “meccanica”. I nostri cari sicuramente meritano un commiato più caloroso e partecipato. Ci auguriamo che tutto possa finire presto e di tornare a svolgere le onoranze funebri come abbiamo sempre fatto in questi 70 anni di professione».

Daniela Catalano

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