Memoria di un sogno… in parte realizzato

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Un ricordo, appunti, riflessioni che sembrano pagine di diario, per rivivere i tempi formidabili della Missione diocesana a Murayi da parte di chi ci è stato e ci ha creduto fino in fondo

DI DON LIVIO VERCESI

Quella che oggi è considerata una “invasione culturale”, è sempre stata l’obbedienza a un ordine: “Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo ad ogni creatura” (Mc 16,15). Questa sottolineatura è importante e mai da dimenticare. Immediatamente è scattato l’imperativo dell’aiuto allo sviluppo: “Dar da mangiare agli affamati…”. Il Vangelo predicato con l’esempio. Una premessa doverosa, poiché da qui vennero tutte le scelte successive.

Don Livio Vercesi davanti alla sua dimora a Murayi

Cominciamo dalle scelte! “Al povero che ha fame, non dare un pesce… lo nutrirai per un giorno… insegnagli a pescare” (Confucio). La Diocesi di Tortona, quando era vescovo Mons. Giovanni Canestri (1971-1975), fece un grande sogno: aiutare i “popoli della fame”. Accettò così l’invito di mons. A. Makarakiza e si gemellò con una nuova parrocchia della sua diocesi, in Africa però: Murayi, una parrocchia già succursale di una missione storica dei Padri Bianchi di Kyeta, nella provincia di Gitega. Furono così inviati tre preti: don Alfredo, don Giovanni, io stesso e tanti volontari, tanti! Si creò una sintonia e un’amicizia grande tra le due Diocesi e i due Paesi.

Poi arrivarono le vocazioni e i preti indigeni e la nuova storia del Paese ebbe inizio. Dal punto di vista della fede, gli abitanti del Burundi erano già cristiani: le Messe domenicali vedevano migliaia di fedeli. Dal punto di vista dello sviluppo, l’Africa è poco più di allora, lo sviluppo non decolla e, forse, non deve decollare! Lo scrittore- pedagogo, Gianni Rodari, ebbe a dire: «È difficile fare le cose difficili, parlare al sordo, mostrare la rosa al cieco. Bambini imparate a fare le cose difficili: dare la mano al cieco, cantare al sordo, liberare gli schiavi che si credono liberi».

Il Burundi era senza scuole e senza cibo per tutti. Abbiamo così realizzato e riempito 18 aule scolastiche, con 40 posti ciascuna, portando a scuola circa 500 alunni: 10 aule a Murayi, 5 a Kanynya, 1 a Matongo, 1 a Muyange e 1 a Carire. Insegnavamo a leggere, scrivere, fare di conto e catechismo.

La falegnameria

Poi, si è pensato all’aiuto al commercio con la prima Cooperativa e l’apertura di un negozio per la vendita di beni primari, acquisto e rivendita della produzione locale: caffè, tè, fagioli, sale, pepe, zucchero, chiodi, cemento. Abbiamo costruito: una parrocchia, strade e ponti di collegamento, ma nessun ospedale. Sono nati i laboratori e le scuole di falegnameria, muratori e fabbri, per insegnare i mestieri e l’uso degli strumenti. Si sono realizzate scuole di apprendistato con 40 muratori (Jovino – capo istruttore), 10 falegnami (Johani – capo istruttore), 10 fabbri (Elia – capo istruttore). Jovino aveva frequentato le scuole superiori e parlava francese; Johani non parlava francese, ma sapeva bene il suo mestiere; Elia conosceva il francese e il suo mestiere imparato dai Padri Bianchi di Kyeta.

Fabbri al lavoro

Questo è un debito che paghiamo a tutti quelli che hanno condiviso il sogno. Si tratta della memoria storica di una Diocesi non estranea a grandi ideali: mons. Luigi Versiglia, santo (Cina); padre Cesare Pesce (India); padre Piero Belcredi (America Latina). I protagonisti di questo sogno africano sono: mons. Makarakiza, vescovo di Gitega, mons. Meriggi, don Alfredo, don Giovanni, suor Patrizia, suor Vittoria e suor Fausta. Numerosi i volontari laici e tecnici dell’Ufficio Missionario: Renato Jametti, Renato Defilippi, Mauro Montagna e molti altri in seguito. Un posto speciale in questa storia missionaria è per mons. Libero Meriggi. Già nella Parrocchia di Pombio da lui fondata e nella quale costruì la chiesa parrocchiale, aveva iniziato il discorso missionario che portò in Diocesi quando divenne Vicario Generale.

Sovente ci si chiedeva o si veniva accusati di nuova colonizzazione, di invasione culturale. Può darsi! La tv di Stato cominciò allora a trasmettere programmi europei (in francese). Cosa resta di questa storia gloriosa e condivisa? Lasciamo alla Provvidenza il giudizio storico e sociale.

Noi ricordiamo ancora una volta quel capitolo di Mt. 25,35 così ascoltato nei nostri tempi: “…perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere…”.

Ci fermiamo qui! Anche se sarebbe molto bello recuperare queste storie, orgoglio di un recente passato e riscoprire la Missione, non più solo “ad gentes” ai popoli del Terzo Mondo, ma anche a quelli del Primo.

Da ultimo, abbiamo costruito una chiesa. Una chiesa bellissima come segno e memoria di una collaborazione e di un sogno condiviso.

La chiesa a Murayi
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