L’ex Ilva ora punta su “Luzima”

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Novità per lo stabilimento di Novi Ligure che produrrà l’acciaio anti corrosione. Intanto si assiste a una “fuga” di operai e i Sindacati restano critici

di Luca Lovelli

Si chiama “Luzima” il nuovo rotolo d’acciaio, poi ricoperto da zinco e magnesio per renderlo più resistente, che sarà prodotto all’ex Ilva di Novi Ligure. Ad annunciarlo è stata l’azienda in un incontro che si è svolto martedì scorso nello stabilimento novese, nel quale sono state presentate le strategie commerciali del colosso siderurgico. All’appuntamento non sono stati invitati né giornalisti, né sindacati, con questi ultimi che, per ora, hanno preso atto della scelta.

Nella città dei Campionissimi c’era anche l’amministratore delegato di Acciaierie d’Italia, Lucia Morselli, insieme ad altri dirigenti del Gruppo.

Il prodotto appena presentato è dotato di una patina supplementare che lo rende utilizzabile in zone quali le località marittime o esposte a venti salini. Nell’attesa di sapere se e in che modo questa novità impatterà sulla produzione all’interno del sito alessandrino, per il momento rimangono le criticità che parti sociali e dipendenti sbandierano ormai da mesi. In primis, la fuga generale dalla fabbrica. Se dall’ultimo accordo di settembre 2018 si prospettava una presenza di 700 unità, con tanto di nuove assunzioni, ora sono circa 600 quelle operative nei vari reparti. Non va dimenticato che due mesi fa Cgil e Cisl, ma non la Uil, avevano, inoltre, sottoscritto un accordo per il rinnovo della cassa integrazione fino al 17 marzo 2024, che prevede la rotazione fino a un massimo di 155 lavoratori al giorno.

«Da tempo evidenziamo pure i problemi legati alla sicurezza. Il biglietto da visita dello stabilimento è la portineria, che fino a poco fa sembrava bombardata. Gli investimenti non ci sono. Da 10 anni facciamo la “lista della spesa” e non è cambiato nulla. Di dirigenti, però, se ne vedono almeno un paio nuovi ogni anno. Non possiamo perdere uno stabilimento così importante per la città e la provincia. – spiega Alberto Pastorello, segretario provinciale Uilm-Uil – Gli accordi del 2018 prevedevano 6 milioni di tonnellate annue, ora è già tanto se si arriva a 3. Da allora, non si sono più visti piani industriali». Problemi che vanno risolti a livello nazionale, con una strategia ben definita che coinvolga tutto il Gruppo, a iniziare da Taranto, dove intanto è ripartito l’altoforno.

«Il Governo deve mettere la parola fine a questo scenario. Lo Stato, che controlla al momento il 38% delle quote della società, deve passare in maggioranza. – commenta Salvatore Pafundi, segretario generale Fim-Cisl Alessandria e Asti – Il rischio è che l’Italia perda quote importanti di mercato nella siderurgia. Nel 2018 si era parlato di rimettere a nuovo la fabbrica novese, ma così non è stato. Il fatturato di Acciaierie d’Italia parla chiaro e non sono numeri da azienda in crisi».

Se un tempo nessuno si sarebbe sognato di lasciare l’Ilva, oggi accade il contrario. «A detta dei dirigenti, la ripartenza dell’altoforno 2 avrebbe dovuto generare ricadute positive su tutte le altre fabbriche presenti sul territorio nazionale, ma così non è stato» – evidenzia Maurizio Cantello, segretario provinciale Fiom Cgil.

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