Ex Ilva: segnali di allarme

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Il lavoro in crisi. Nello stabilimento di Novi Ligure regna l’incertezza, 590 dipendenti e le loro famiglie in attesa di una soluzione

DI LUCA LOVELLI

«La situazione è ai minimi termini tra sicurezza, cassa integrazione e produzione. Non si può più aspettare».

Proseguono incessanti i segnali d’allarme lanciati dai rappresentanti sindacali dell’ex Ilva di Novi Ligure per lo stato di criticità nel quale versa ormai da lungo tempo lo stabilimento siderurgico cittadino. Uno scenario figlio della grande incertezza e tensione che regnano sul piano nazionale, da “mamma” Taranto fino a tutti gli altri siti presenti sul territorio italiano, da Nord a Sud.

Le parti sociali hanno incontrato nelle scorse ore a Roma il Governo per lavorare al divorzio consensuale con ArcelorMittal, colosso industriale franco-indiano che acquisì ex Ilva all’asta nel 2018 assumendosi la responsabilità di risanare una società molto compromessa da anni di indagini per danni ambientali. Da allora, la multinazionale ha fatto pochi investimenti per rilanciare la produzione infrangendo così le promesse fatte al momento dell’acquisto. E le cose sono andate peggiorando.

Il ministro Adolfo Urso ha evidenziato come non sia più possibile condividere una governance con questa proprietà. Al momento, lo Stato detiene il 32% delle quote mentre Arcelor- Mittal il restante 68%. Nel dicembre 2020 era stata approvata un’intesa per rilanciare l’azienda, con cui lo Stato sarebbe arrivato al 60% del capitale entro il maggio 2022. Il passaggio era poi stato rinviato di due anni e mai portato a termine.

A Novi, dei circa 700 dipendenti previsti dal piano industriale del 2018, sono rimasti meno di 590. Chi può, se ne va per cogliere opportunità migliori.

«Aspettiamo il lavoro che faranno entro mercoledì (ieri, ndr) i rispettivi legali per sapere con quali strumenti e come si potrà andare avanti, cambiando da subito gestione e amministratore delegato. – sottolinea Maurizio Cantello, segretario generale Fiom Cgil Alessandria – Vedremo come vorranno far ripartire gli impianti e gestire anche l’indotto. Ne parleremo oggi quando saremo riconvocati per conoscere gli sviluppi ».

In pratica, le prossime ore potrebbero essere cruciali per il destino del colosso dell’acciaio. Un allontanamento consensuale tra le parti coinvolte ridurrebbe i pericoli di un contenzioso internazionale ed è la soluzione più conveniente per lo Stato.

Tra le ipotesi meno auspicabili c’è quella del ricorso all’amministrazione straordinaria, procedura che permetterebbe il prosieguo dell’attività definendo però con il Tribunale un piano di risanamento a tutela dei creditori.

«Nel dibattito in Senato dell’11 gennaio, purtroppo, siamo arrivati al punto di non ritorno. A lungo abbiamo chiesto il passaggio a un controllo a maggioranza pubblica, tramite Acciaierie d’Italia, del gruppo per permettere una ripartenza e lo abbiamo ritenuto imprescindibile per la salvaguardia dei lavoratori. – spiega il Partito Democratico novese in una nota – Oggi, per il nostro territorio abbiamo bisogno di parole chiare dal Governo e impegni precisi per garantire i livelli occupazionali, la manutenzione necessaria e la sicurezza sul lavoro e non perdere ulteriore competitività nella produzione. Chiediamo che venga ridata credibilità alla nostra siderurgia che è stata sempre un fiore all’occhiello dell’industria italiana al livello europeo e globale ».

Al momento sono circa 20 mila i dipendenti in tutta Italia, e le loro famiglie, a tenere il fiato sospeso in attesa di sviluppi.

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