“Pino” alla guida della Difesa italiana

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Intervista all’ammiraglio Cavo Dragone. Il rapporto con Novi e i compiti che lo attendono

NOVI LIGURE – È novese il vertice della Difesa italiana. L’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, classe 1957, è stato nominato Capo di Stato Maggiore in occasione del Consiglio dei ministri della scorsa settimana. “Pino”, come lo chiamano tutti in città, lascia la guida della Marina Militare dopo quasi due anni e mezzo. Nato ad Arquata Scrivia, è sposato e padre di tre figli. Prima della carriera militare ha conseguito la maturità classica al liceo novese “Doria”.

A lui abbiamo rivolto alcune domande per conoscere meglio la persona che nei prossimi tre anni si occuperà della sicurezza italiana.

Qual è il suo rapporto con Novi Ligure?

«Novi è il luogo dove tutto ebbe inizio e in cui tutto tornerà. Sono ancora molto legato al territorio. Appena mi è possibile rientro a casa dalla mia famiglia e torno alla vita novese anche nelle piccole cose, come fare la spesa o andare in giro con il cane. Il mio ritorno definitivo è slittato di qualche anno, ma sicuramente il mio “buen retiro” sarà in città».

In città si è esercitato anche nel tiro?

«Sono stato allievo del poligono cittadino per superare i test dell’Accademia Navale di Livorno.

Ora però sono un po’ arrugginito, forse è il caso che torni a prendere qualche ripetizione».

La nomina è stata inattesa o era nell’aria?

«C’è stato un recente cambio di norma che ha ampliato il ventaglio della scelta e che mi ha consentito di essere tra i papabili. Questo è accaduto circa un mese fa e da lì in poi si sono create le condizioni favorevoli affinché ciò avvenisse, nonostante la concorrenza. A breve è in programma una cerimonia formale in Quirinale per il passaggio di consegne. Assumo questo incarico per 3 anni non rinnovabili».

Cosa si aspetta dal nuovo incarico?

«Mi aspetto di attingere a piene mani al mio spirito capace di negoziare. Si tratta di mettere d’accordo tutte e quattro le forze armate, con numeri che vanno tra le 170 mila e le 190 mila persone e con un processo di riduzione abbastanza importante in corso. Ci sono interessi di ogni singola forza che devono essere in parte edulcorati per cercare di soddisfare le esigenze di tutti. Gli impegni in programma sono molti e coinvolgono tanto personale lontano da casa».

Lascia la Marina Militare con quali ricordi?

«È una forza armata che prende il cuore e che coinvolge al 120%. A essere sincero, il momento più alto che ritengo di aver toccato come entusiasmo e orgoglio è arrivato durante il primo lockdown in cui ho visto tantissime persone spendersi al massimo per supportare il servizio sanitario nazionale. Tanti marinai sono partiti per missioni di 3 o 4 mesi senza battere ciglio, lasciando a casa le famiglie in una si- tuazione che era di incertezza per tutti. Questo mi ha dato un’enorme soddisfazione».

In occasione di un suo recente intervento al Museo dei Campionissimi ha parlato della poca cultura del mare presente in Italia. Cosa significa?

«C’è una carenza nostra di base. Anche nelle scuole, ripensando al mio percorso da liceale, non se ne parla.

Consideriamo che le frontiere marittime sono 7 volte quelle terrestri.

Per esempio, non si sa che l’80% delle merci che viaggia da e per l’Italia lo fa via mare.

Va aggiunto inoltre che il 95% del traffico digitale che noi giornalmente utilizziamo viaggia sott’acqua grazie a cavi sottomarini protetti. A livello nutrizionale, la nostra nazione dipenderà quasi interamente dal mare nei prossimi vent’anni».

Il ruolo dell’Italia nel contesto geopolitico attuale?

«L’Italia ha un ruolo fondamentale nel Mediterraneo, inteso in senso allargato ed esteso fino all’Oceano Indiano e al Golfo di Guinea. I fenomeni che interessano quelle zone si riverberano anche da noi.

Il nostro Paese deve essere assertivo per colmare dei vuoti che vengono lasciati da altri, come per esempio nel caso di un alleato storico come gli Stati Uniti che ora ha fissato un focus verso Est. Occorre inoltre vigilare sulla fascia subsahariana, da dove partono le migrazioni. In quelle zone va creato benessere affinché la gente non parta. Questo deve essere un impegno di tutta la comunità internazionale».

Luca Lovelli

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