Vaticano: più spese che entrate

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Di Cesare Raviolo

In tempo di sede vacante, oltre al “borsino” del Conclave, tornano d’attualità anche le finanze vaticane. Il papato di Francesco ha avuto l’indubbio merito di averle migliorate con la riforma dello Ior (Istituto per le Opere di Religione), che ha adottato le norme internazionali antiriciclaggio, con l’istituzione di una Segreteria per l’Economia, con l’accentramento presso l’Apsa (Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica) della gestione di tutti i beni immobili e il passaggio allo Ior della gestione dei beni mobili. Queste riforme miravano a rendere più trasparente la gestione finanziaria della Santa Sede e a contenere quella mala gestio che, talvolta, anche recentemente, ha causato al Vaticano perdite, non solo di centinaia di milioni di euro, ma soprattutto d’immagine. Tuttavia, l’attenzione del Papa per le finanze trova spiegazione, oltre che in superiori valori morali, anche nella necessità di risanamento dei conti della Santa Sede, alle prese con un continuo aumento delle spese e con la riduzione delle entrate, specie quelle provenienti da donazioni. Il Vaticano ha un deficit strutturale di circa 70 milioni all’anno su un bilancio che ammonta a poco più di 1 miliardo e un patrimonio stimato in circa 4 miliardi di euro. Donazioni a parte, le entrate della Santa Sede sono limitate a incassi dei Musei Vaticani, offerte dei turisti in visita a San Pietro, diritti sui libri del Papa e su altre pub- blicazioni, risorse fornite da Apsa e Ior. In particolare, lo Ior dovrebbe chiudere (a luglio) il bilancio 2024 con un utile superiore rispetto ai 30,6 milioni del 2023 e, quindi, la parte degli utili che l’Istituto destinerà alle opere di carità del Pontefice dovrebbe essere maggiore dei 13,6 milioni del 2023. Anche l’Apsa dovrebbe aver conseguito nel 2024 risultati positivi e, quindi, chiudere il bilancio con un utile superiore a quello di 45,9 milioni (di cui 37,9 girati alla Curia romana) del 2023. Tuttavia, il risanamento richiederà ulteriori misure, compreso il completamento della spending review, avviata da Papa Francesco nel 2021 con il taglio degli affitti di favore per gli appartamenti dei cardinali e con la riduzione del 10% del cosiddetto “piatto cardinalizio”, cioè dello stipendio dei porporati, taglio dell’8% per i superiori ecclesiastici e del 3% per i preti e i religiosi: un provvedimento per rendere economicamente sostenibili le retribuzioni dei circa 5.000 dipendenti del Vaticano e salvaguardare i posti di lavoro.

raviolocesare [at] gmail.com

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