Fermo Ferrari: il papà di don Stefano prigioniero in Germania

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Il 27 gennaio, Giorno della Memoria, il prefetto di Pavia, Rosaria Scialla, si è recata non solo a Broni ma anche a Casteggio, dove, nella sala consigliare del municipio, alla presenza del sindaco Lorenzo Vigo, ha consegnato la medaglia d’oro, concessa dal presidente della Repubblica, alla memoria di Fermo Ferrari, deportato in Germania nei campi di lavoro, dal 1943 al 1945, e ritornato alla fine della guerra. A ritirarla c’era la moglie Cesarina Rubega, insieme ai figli Maria, Lucia, Alessandro e don Stefano, parroco della comunità pastorale di Rivanazzano Terme e ai fratelli del defunto, il 91enne don Alfredo e Giovanni. Fermo Ferrari, l’8 settembre del 1943, aveva 19 anni e stava facendo il servizio di leva in val di Susa. Con la firma dell’armistizio i militari italiani furono considerati traditori dai tedeschi, caricati sui carri ferroviari e portati in Germania come prigionieri. Fermo, giovane e robusto, fu mandato nei campi di lavoro. Come racconta il figlio don Stefano, gli fu affidato il compito di riparare i binari distrutti dai bombardamenti, con i soldati tedeschi che lo controllavano. Chi si feriva al lavoro o si ammalava finiva nei campi di sterminio. La salute, per sua fortuna, lo aiutò a resistere, nonostante il lavoro pesante, i maltrattamenti e il cibo insufficiente. Alla fine della guerra fu costretto a lavorare in Germania per ricostruire il Paese e solo dopo diversi mesi fu liberato.

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