Antropologia dello smartphone

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All’“Amaldi” parte “Piattaforme” con lo studioso Daniel Miller per la prima volta in una scuola

NOVI LIGURE – Parte domani , 10 marzo, “Piattaforme”, la rassegna culturale organizzata dal liceo “Amaldi” che prosegue per altri due venerdì. Gli incontri sono rivolti alle scuole, ma aperti anche a tutta la cittadinanza. Per il primo appuntamento, la Biblioteca civica ospiterà l’antropologo inglese Daniel Miller, per la prima volta in una scuola italiana per presentare la sua indagine “The Anthropology of Smartphones”, un’analisi condotta per 16 mesi in 9 Paesi, tra cui l’Italia, che ha coinvolto un ampio team di ricercatori.

«Gli smartphone non sono dei semplici oggetti, ma dei luoghi.

Sono la casa in cui viviamo, che ci conosce e che sa tutto di noi. – spiega il docente dello University College di Londra – I giovani u-sano il cellulare per chiamare solo nel 2-3% del tempo totale di utilizzo. Lo smartphone va visto co-me un’estensione della casa, non di un semplice telefono.

Una casa che ha le sue stanze.

Spazi dedicati al lavoro, al divertimento, agli acquisti, alle proprie finanze e altre ancora. Un luogo che, pur non essendo fisico, ognu- no organizza nel migliore dei modi a seconda dei propri gusti».

L’incontro sarà introdotto da Mar- co Aime, professore dell’Università di Genova, e sarà tradotto dall’inglese all’italiano in tempo reale per i presenti. «Nelle aree più povere, come per esempio l’Ugan- da, il telefono è un oggetto che si condivide con altri perché difficilmente è qualcosa di unico e personale. – aggiunge Miller – La parte più importante dello strumento riguarda il trasferimento di denaro, perché non hanno banche.

Sono nazioni in cui c’è, inoltre, una maggiore percezione del costo del dispositivo, in quanto il trasferimento dei dati è più impattante rispetto che altrove. In Cina è tutto diverso. I più anziani lo vedono come un’idea da parte del governo comunista di proiettare lo Stato verso l’avanguardia della tecnologia. Per loro diventa un simbolo, un’icona. Il nostro report ha messo in evidenza che ogni Paese è differente».

Luca Lovelli

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