Svegli, reattivi e in ritardo
Di Carlo Zeme
Sono stato per alcuni anni pendolare e ricordo la sensazione meravigliosa di camminare per la città deserta al mattino presto per andare a prendere il treno. Ricordo con ancora più soddisfazione la salita sul vagone, trovare il mio posto vicino al finestrino e con il buio fuori appoggiarmi al vetro e tornare a dormire un sonno cullato dalle rotaie. Oggi capita che quando fuori è ancora buio una vocina si alza dalla camera di fianco alla nostra: «Mamma, mamma, mamma» e la sequenza potrebbe andare avanti per una decina di volte; poi qualche secondo di silenzio con la speranza nel cuore che sia stato solo un intermezzo all’interno di un sogno e invece: «Papà, papà, papà…». E allora è tutto vero, Margherita ha aperto gli occhi, è ricaricata, rigenerata, pronta per un nuovo giorno, mentre mamma e papà avrebbero bisogno di qualche minuto in più o forse semplicemente una sveglia meno movimentata. Lei è seduta sul suo lettino, la trovi che mima il gesto del biscotto che sta per essere inzuppato nella tazza, e quando si alza per muoversi lungo il corridoio che la porterà verso la cucina lancia il suo urlo di battaglia: «Tottaaa…»: la parola è storpiata ma l’intenzione è fermissima. Una volta seduta sul seggiolone afferra la borraccia mentre intorno comincia a muoversi tutto, il bollitore fa un rumore inconfondibile e certifica la passione per il thè, il cuc- chiaino piccolo con il manico arancione pesta i biscotti che ha già buttato nella tazza, la tazza è sempre quella rosa con un manico solo. Io e Melina stiamo lentamente accendendo i nostri neuroni, riprendiamo conoscenza piano piano mentre Margherita prende il bavagliolo e lo lancia lontano difendendo il proprio preziosissimo diritto allo sbrodolamento sul pigiama. Molto spesso va così, tranne oggi, un giovedì qualsiasi: mentre vi sto scrivendo ho ancora in mente i quattro minuti di ritardo a lavoro, solo perché Margherita ha dormito un po’ di più rispetto al solito. Un sogno.
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