Come si fa essere tristi?

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di MARIA PIA E GIANNI MUSSINI

È andato a fare la sua consueta passeggiata tra la Madonna della Bocciòla e il borgo di Ameno, in alto sul lago d’Orta: di fronte, la cima del Monte Rosa pare a un tiro di schioppo. Il giornale e ritorno, sino alla casa che con la moglie Luciana aveva voluto virgilianamente chiamare “Bucoliche”. Poi si è messo al consueto lavoro di studioso e traduttore dei classici. Il pranzo e, ancora a tavola, un lieve malore. Il tempo di dire «non mi sento tanto bene», che Carlo Carena è mancato, alla bella età di 98 anni. La morte che tutti vorremmo. Abbiamo già parlato una volta di questa magnifica coppia. Amici cui abbiamo imparato a voler bene ormai in età matura anche noi. E subito si era generata “quell’aria di spontanea confidenza, che si trova in una nuova e potente affezione, come in un’antica intrinsichezza”, per citare il nostro Manzoni. Siamo tornati da loro la mattina dei funerali, trovando Luciana affranta e come sempre bellissima, nonostante l’età pure avanzata. E abbiamo visitato lui disteso sul letto, ancora con il maglioncino celeste che era diventato il suo emblema. «Certo non possiamo lamentarci, proprio noi», ci ripeté al telefono lo scorso 4 novembre, quando lo chiamammo per gli auguri di San Carlo. Alludeva alla fortuna di una vita lunga e ricca di bellezza. Tanto che spesso Gianni gli diceva e scriveva: «Da grande voglio fare il Carena». Ma le regole del gioco sono queste. Non c’è da fare gli schizzinosi o i presuntuosi: sorella morte è lì per tutti, e può essere una consolantissima sorpresa. Il comune amico Roberto Cicala, l’editore di Interlinea presso cui Carlo aveva pubblicato le sue ultime cose, lo ha ricordato come ispiratore della collana Nativitas, serie ininterrotta di gioielli natalizi che esprimono un umanesimo raffinato e cristiano; e citando anche l’ultimo libro di Carena, appena uscito, l’antologia La natura nel mondo antico: omaggio a una classicità che coltivava da sempre (lui che era stato anche direttore letterario dei Millenni di Einaudi). L’amicizia con noi era scoccata nel nome di Rebora e poi di Angelini. Carlo, allievo del primo e amico del secondo, aveva generosamente prefato o recensito alcune edizioni dedicate da Gianni a quei due scrittori, nel nome di una parola non immemore della Parola da cui tutto proviene. Cicala ha appena pubblicato sul web anche un video in cui lo si vede scintillante di vita e sapienza, sempre con il suo maglioncino celeste: parla di tanti libri, ma tra le mani ha sempre i Canti anonimi reboriani curati da Gianni… Nell’annuncio funebre, dettato dalla moglie, le parole di Erasmo da Rotterdam, così amato da Carlo: “Quanto più un uomo invecchia, tanto più si riavvicina alla fanciullezza, finché lascia questo mondo in tutto come un bambino al di là del tedio della vita e al di là del senso della morte.” Come si fa essere tristi?

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