Volontariato riconosciuto

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di Maria Pia e Gianni Mussini

L’esigenza era nata già prima del matrimonio. Nei discorsi che facevano durante le loro molto trasgressive passeggiate nel parco di Monza (dove allora abitava Maria Pia), si parlava di figli, di lavoro, di amici e parenti, della casa: cioè di quelle cose che insieme fanno una famiglia. Ma ben presto si era affacciata anche l’esigenza di fare anche qualcosa di concreto per gli altri. Quello che si definisce “volontariato”, con una parola un po’ sgarbata, che dà un’idea di “struttura” più che di schietta carità.

Così, appena sposati, erano già pronti ad accogliere la chiamata giusta. Che arrivò in fretta. Nella loro città un piccolo ma combattivo gruppo di persone si interessava al tema della vita nascente, proprio negli anni in cui si stava facendo strada l’idea dell’aborto come “diritto” (ora colpevolmente ripresa dal Parlamento Europeo: ma ne parleremo un’altra volta). Contrastare in positivo questa idea aiutando una donna a diventare madre e nel nome di un embrione, invisibile agli occhi ma non per questo meno vivo e meno vero, parve subito ai due sposi – oltre a tutto ancora privi di figli – l’obiettivo che cercavano.

Fu, ed è, l’avventura di una vita. Campagne referendarie, aiuto alle donne e alle coppie in difficoltà, iniziative culturali e caritative, incarichi locali, regionali e nazionali: e intanto finalmente anche in casa nascevano i bambini, il lavoro aveva le sue esigenze, le giornate andavano al galoppo. Ma mai Gianni e Maria Pia furono sfiorati dal pensiero di abbandonare la partita. Che difatti continua ancora oggi, con avventure e impegni sempre nuovi. E che non smette di dare gioie ed emozioni sempre nuove, perché l’impegno prolife dà alla vita un sapore e un significato diversi, valorizzando ogni singola giornata di chi lo vive.

È dunque con una certa soddisfazione che hanno letto, in questi giorni, dell’iniziativa di candidare il “volontariato” a patrimonio immateriale dell’Unesco. Sanno molto bene che questi riconoscimenti sono un poco stucchevoli e non cambiano la qualità dell’impegno di chi si mette a disposizione di una causa (chi lo fa, lo fa a prescindere dall’Unesco). Ma un simile riconoscimento avrebbe almeno il merito di promuovere l’idea, anzi il fatto, che il lavoro quotidiano e gratuito di milioni di persone arriva dove le istituzioni non riescono, portando non solo aiuto materiale ma anche la carezza di una vicinanza che spesso conta più del denaro. Oltre a tutto dimostrando che milioni di persone non fanno volontariato per riempire il tempo libero, ma impiegano il loro tempo – quello libero e quello che non lo sarebbe – perché guardano anche fuori da se stessi. (Come quegli illustri medici che l’altro giorno hanno dedicato alcune ore del loro tempo per aiutare ad allestire un nuovo servizio del Consultorio onlus pavese).

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