«Vogliamo lavorare in sicurezza e con regole certe e stabili»

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Intervista ad Andrea Cavalli, presidente di Confartigianato Imprese di Tortona

TORTONA – Dallo scorso 6 novembre il Piemonte è diventato “Zona Rossa” e questo ha determinato il blocco totale o parziale di molte attività commerciali e di servizi, oltre a una forte contrazione di tutto il sistema produttivo.

Abbiamo parlato della situazione a livello locale con Andrea Cavalli, presidente di Confartigianato Imprese della zona di Tortona che da dal 2019 ricopre questo incarico.

Qual è il bilancio del primo anno da presidente?

«Definirei questo periodo una partenza in salita; ai problemi ordinari che le nostre aziende dovevano affrontare quotidianamente prima del Covid, si sono aggiunti quelli straordinari innescati dalla epidemia tuttora in corso, che ha accresciuto le difficoltà, producendo una generalizzata contrazione di incassi e fatturati e accentuando la carenza di liquidità».

Quali sono gli effetti negativi di questo 2020 sull’economia del Tortonese? E quali settori risentono di più della crisi in atto?

«Superata la fase più critica della pandemia da Covid dei mesi di marzo e aprile, in estate ci eravamo illusi di un ritorno alla normalità, anche se gli effetti negativi sull’economia erano ancora ben presenti. Con la ripresa dei contagi e i conseguenti provvedimenti di contenimento disposti dal Governo, culminati con l’attuazione di un secondo lockdown “parziale” in Piemonte, tutto il sistema economico e produttivo ne ha pesantemente risentito, vanificando gli sforzi compiuti dalle aziende per recuperare, almeno parzialmente, i margini perduti a inizio anno.

La composizione del tessuto imprenditoriale Tortonese, rispecchia quello di molte altre realtà territoriali del nord Italia riscontrabili, che rappresentano la parte più produttiva in termini di PIL. La crisi ha investito trasversalmente il nostro sistema produttivo a tutti i livelli ed in tutti i settori: ad ecce- zione del comparto commercio alimentare, dove soprattutto la grande distribuzione ha tenuto maggiormente, tutti gli altri – dalla produzione manifatturiera, ai servizi e terziario, al commercio non alimentare e all’agricoltura – hanno subito contraccolpi e registrato perdite. Anche le imprese del nostro territorio vocate all’export hanno subito gli effetti di un disagio che non è solo nazionale.

Ritornando al Tortonese, la forte limitazione al movimento di persone, ha penalizzato anche tutte le attività commerciali e di servizi non sospese “per decreto”, che tuttavia si sono trovate improvvisamente prive di clienti, senza rice- vere gli esigui aiuti finanziari disposti dal Governo. Sono stati stanziati 1,6 miliardi di euro con i due decreti fiscali denominati “Ristori” e “Ristori Bis” (del 28 ottobre 2020 e del 9 novembre 2020), che prevedono contributi a fondo perduto di importo inadeguato alla enorme platea di aziende coinvolte. Non discuto sulla necessità di attuare misure di contenimento dell’epidemia, però il danno conseguente non si limita ai settori direttamente colpiti dalle misure re- strittive, quali il comparto “ristorazione” e “dei servizi”, ma ha coinvolto tutto il nostro sistema econo- mico in modo trasversale. Avrebbe avuto più senso disporre dei contributi in base alle filiere e non ai singoli codici ATECO primari, scontentando tutti per l’esiguità degli stessi, o per l’esclusione dalla platea dei beneficiari.

Il prossimo decreto prevederà probabilmente ulteriori ristori per un ammontare di 4 miliardi di euro allargando la platea, che giudico comunque inadeguati a coprire le perdite medie superiori 50% del fatturato, che si evidenzieranno nei bilanci a fine anno.

Le perdite di fatturato si tradurranno inevitabilmente in perdite di centinaia di migliaia di posti di lavoro, già stimate oggi a 600.000 unità. Intanto continuiamo a parlare di MES, Recovery Fund e manovre di bilancio in deficit, ma di azzeramento generalizzato di tasse o di riduzione di aliquote, non ne parla nessuno e la sospirata riforma fiscale langue, insieme ai contribuenti italiani».

Come si sono organizzati gli artigiani in tempo di pandemia e quanto sono stati sostenuti?

«La maggioranza delle imprese, dalle industrie alle piccole botteghe e negozi di prossimità hanno applicato i protocolli delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus negli ambienti di lavoro sottoscritti il 20 marzo e il 24 aprile 2020 dal Governo con le Regioni, le organizzazioni datoriali e sindacali; le forze dell’ordine hanno effettuato ispezioni per verificare la corretta applicazione degli stessi, rilevando percentuali di trasgressione infinitesimali. Le aziende si sono comportate responsabilmente, hanno investito molto in sicurezza, acquistando dispositivi, disinfettanti, schermi in plexiglass, indumenti e tovaglie monouso, termometri, scanner, segnaletica di vario tipo e spendendo un mucchio di quattrini. Sinceramente nessuno si sarebbe aspettato la chiusura di interi comparti dopo aver applicato tali misure, ma il Governo ha preferito affidarsi tardivamente ai 21 parametri e algoritmi per assumere tali decisioni, sprecando tempo prezioso in profusioni di parole e in campagne elettorali estive nell’attesa che arrivasse l’autunno con la seconda ondata dei contagi, senza cambiare approccio al problema: a parte lo specifico fondo di 4 milioni di euro stanziato dalla Camera di Commercio di Alessandria a copertura del 100% delle spese “di sicurezza” sostenute dalle imprese della nostra provincia, sono stati erogati dal Governo sussidi limitati, destinati in modo eterogeneo con criteri assistenzialistici, senza una reale prospettiva di sviluppo di lungo periodo per il nostro paese».

Le piccole aziende che sono l’ossatura dell’economia nazionale manterranno questo ruolo?

«Se per piccole intendiamo quelle con massimo 50 addetti, direi di sì, anche se i problemi maggiori saranno per le micro imprese sotto i 5 addetti, che rappresentano la grande maggioranza dei nostri associati, non tanto per mancanza di tenacia e competenze tecniche, quanto per l’impossibilità per il piccolo imprenditore di gestire per- sonalmente la molteplicità degli adempimenti normativi, amministrativi e burocratici che gravano sulle sue spalle, non potendo delegare tutto all’esterno e non potendo comunque sostenere l’enorme pe-so finanziario imposto all’azienda da questo sistema, che declama la semplificazione ma opera esattamente all’incontrario. Potranno so- pravvivere solo le piccole aziende che sapranno sfruttare la dimensione ridotta come vantaggio competitivo, coniugandola alla qualità dei loro prodotti e servizi, comunicata ai potenziali clienti secondo i giusti canali. Abbiamo tutti necessità di lavorare, dobbiamo farlo in sicurezza per noi, i nostri collaboratori e i nostri clienti, ma voglia- mo regole certe e stabili per organizzarci e programmare le nostre attività per poter far bene e poterlo fare anche in futuro».

Previsioni per il futuro dell’associazione di cui è presidente?

«La sfida che le associazioni di categoria dovranno vincere, quali corpi di rappresentanza intermedi, non è di poco conto.

Le associazioni sono dei contenitori di idee, progetti, oltre che di servizi e di rappresentanza sindacale delle imprese che in esse si riconoscono.

Anch’esse sono esposte al rischio di scomparire, qualora si rivelassero incapaci di gestire il cambiamento in atto nel tessuto imprenditoriale che devono saper supportare, interpretandone i bisogni, assistendolo per la risoluzione dei problemi, indicando le opportunità e accompagnando le imprese in un processo di crescita nel campo di competenze, organizzazione, capacità di comunicazione.

La nostra associazione ha intrapreso da alcuni anni tale percorso, affrontando tanti sacrifici e continuerà a farlo anche in futuro, con l’auspicio di essere in grado di cogliere le sfide che il nostro tempo ci impone, animati dalla forza e dalla volontà che guidarono i sui padri fondatori 75 anni or sono».

Daniela Catalano

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