Cosmologia di una 1^

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di Davide Bianchi

12 settembre 2023, Scuola primaria “P. Baffi”, Broni, provincia di Pavia. È l’anno zero, è la nostra personalissima palingenesi, l’inizio di un nuovo ciclo. È il primo giorno di scuola, e lo è per tutti: bambini, genitori e professori. Dopo cinque anni di insegnamento sul precedente gruppo classe, la mia collega Luisa e io, ci apprestiamo ad affrontare un altro ciclo, ad accogliere i nostri nuovi alunni di prima elementare. Come due instancabili astronauti alla guida della nostra navicella spaziale ci dirigiamo, lenti e inesorabili, nel cuore profondo di una galassia ancora inesplorata, di un arcipelago di stelle a noi sconosciuto. Non abbiamo ancora visto i nostri alunni: queste stelle non hanno ancora né un nome, né una precisa posizione nella nuova galassia, almeno per noi. Incrociamo spesso lo sguardo, Luisa e io, in piedi, senza dirci nulla, in un atrio ancora per pochi istanti vuoto e silenzioso. Non servono parole. È giusto che ora sia ciò che accade a intessere la trama di una nuova storia. Il suono della campanella irrompe fragorosamente mandando in frantumi i nostri pensieri: è il momento di agire. Entrano i bambini di prima, accompagnati da genitori più emozionati e agitati di loro. È normale. Non ero più abituato ai bambini di 5 o 6 anni: sono piccolissimi, numerosi, avanzano con gli zaini colorati. Indomiti. Luisa li accompagna su per le scale, verso la classe. Io resto giù con A. e suo padre. A. – 6 anni, alta, bionda, occhi neri – è in piena crisi, non vuole venire con me. La capisco. Si avvinghia al papà con tutta la forza che ha in corpo. È disperata. Lo prega di non lasciarla, di non andarsene. Piange a dirotto. È inconsolabile. Io provo a rincuorarla, a tranquillizzarla, ma niente. Il suo tormento grida più forte sovrastando ogni mia inutile parola. Mi era già capitato in passato di dover gestire situazioni così, ma questa volta è davvero difficile. A un tratto arriva Rossana (ha qualche anno più di me, capelli corti neri, siciliana, lavora con i bambini disabili). Sfodera un sorriso magico, dolcissimo, uno di quei sorrisi che solo le mamme sanno fare. L’abbraccia, le dice due cose semplici, gentili. Le fa un complimento. Con una facilità disarmante, le prende la mano e l’accompagna su per le scale, lasciando me e il padre alle nostre rispettive perplessità di maschi consapevoli dei nostri limiti. Il mio viaggio quest’anno è iniziato così.

biadav@libero.it

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