Pier Giorgio Frassati oltre il mito

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L’anteprima. Esce in questi giorni il libro di Luca Rolandi che indaga il rapporto tra il beato torinese e la politica, a 100 anni dalla morte e in attesa della prossima canonizzazione

Mentre Papa Leone XIV ha annunciato che la canonizzazione di Pier Giorgio Frassati (insieme a quella di Carlo Acutis) si terrà il 7 settembre, questa settimana esce in libreria l’ultima fatica di Luca Rolandi, giornalista professionista, storico collaboratore del Popolo, membro del Comitato Scientifico della Fondazione Carlo DonatCattin ente del Polo del ’900 e consigliere di amministrazione della Fondazione Fuci. Il volume, edito da Studium (16 Euro), s’intitola Pier Giorgio Frassati e la politica ed è corredato dalla prefazione di Michele Nicoletti e dalla postfazione di Alberto Sinigaglia. L’obiettivo è di riportare Frassati, a cento anni dalla morte, nel suo contesto storico, oltre il mito e la dimensione spirituale che ne caratterizza l’intera esistenza, per rendere il giovane beato ancora più attuale e modello per le generazioni di oggi e del futuro. L’autore, in anteprima per noi, ne tratteggia qui la figura donandoci una sintesi degli ampi temi sviluppati nel suo libro. (M.C.)

Pier Giorgio Frassati, il ragazzo che amava portare i suoi amici in montagna per spingere il loro sguardo “verso l’Alto”, sarà dichiarato santo a settembre. Figlio di Adelaide Ametis e di Alfredo Frassati, direttore e proprietario de La Stampa, era un ragazzo fortunato, cresciuto tra l’aria delle colline del Biellese a Pollone e la “Crocetta” a Torino. Quando Papa Wojtyla lo beatifico il 20 maggio 1990, lo chiamò “uomo delle Beatitudini”: «Nell’Azione Cattolica egli visse la vocazione cristiana con letizia e fierezza e s’impegnò ad amare Gesù e a scorgere in lui i fratelli che incontrava nel suo sentiero». Nato a Torino il 6 aprile 1901 e morto a soli 24 anni, Frassati fu un «meraviglioso modello di vita cristiana», attraversando la sua giovinezza – come commentò ancora Giovanni Paolo II – «tutta immersa nel mistero di Dio e dedita al costante servizio del prossimo». Il padre Alfredo guida, fino all’avvento del fascismo, il quotidiano più importante della città; è poi ambasciatore e autorevole esponente del mon- do liberale sabaudo. Allontanato da Torino dal nascente regime, porta la famiglia a respirare altre culture e ambienti. Pier Giorgio è un giovane come tanti ma animato da una forza interiore superiore e dalla voglia di mettersi al servi- zio: terziario domenicano, frequenta i seguiti dell’Istituto Sociale, è membro della Conferenza di San Vincenzo, dell’Azione Cattolica e ama la montagna. Dentro le dinamiche e articolazioni dell’Italia liberale, tra contraddizioni, povertà e impetuoso sviluppo industriale, anticipa e completa quella visione cristiana della carità avviata nel secolo precedente dai santi sociali, a modo suo, da giovane e senza poter immaginare ciò che avrebbe rappresentato il suo esempio. Nella Torino di Antonio Granisci e Piero Gobetti, Frassati manifesta la concretezza di un attivismo cristiano non alieno dalla contemplazione. Rappresenta la componente più rigidamente antifascista del Partito Popolare. Nell’autunno del 1923 si dimette dal circolo fucino per protesta perché il “Balbo” aveva ha esposto il tricolore per la visita di Benito Mussolini nella città sabauda. Nel Ppi condivide gli orientamenti più progressisti e social- mente aperti fino ad auspicare, con quarant’anni di anticipo, l’alleanza tra popolari e socialisti in chiave antifascista. Nel 1922, anno della marcia fascista su Roma, anche il senatore Alfredo propone la coalizione popolari-socialisti come diga alle Camicie nere. La fermissima opposizione nasce dalla sensibilità per la vita democratica. Antifascista per ispirazione religiosa, Pier Giorgio Frassati collabora a Pensiero popolare, organo della Sinistra Ppi. È tra i promotori dell’agita- zione per la riforma universitaria, che parte da Torino e si diffonde in Italia. Caldeggia le proteste contro la riforma di Giovanni Gentile e aderisce all’alleanza universitaria antifascista. Lotta contro il dispotismo mussoliniano con lo stesso sprezzo del pericolo con cui nel settembre 1921, al congresso nazionale a Roma per il cinquantenario della Gioventù Cattolica, difende la bandiera del circolo contro la teppaglia fascista. È presente al drammatico congresso del Ppi di Torino dove si consuma la spaccatura tra coloro che volevano l’accordo con Mussolini e quelli, come lui, che si opponeva. La sua opposizione si manifesta anche nelle lettere: “Il fascismo esercita la violenza e il popolo è oppresso”. Dopo il delitto Matteotti parla di «cose mostruose, che capitano in Italia. Si vive agitati non sapendo a che cosa si andrà incontro. Solo la fede ci dà la possibilità di vivere». In Appunti per un discorso sulla carità descrive le rovine materiali e morali della guerra e auspica la rigenerazione della società “affinché possa spuntare un’alba radiosa, in cui tutte le nazioni riconosceranno per loro Re Gesù Cristo”. Al trionfo del fascismo, se la prende con “questi girelli, che quotidianamente si vendono al fascismo, come ha fatto Il Momento, il quotidiano cattolico diventato fascista. Impegno politico e impegno sociale nel laicato attivo, e in particolare nell’Azione Cattolica e nella Fuci, sono la sua missione, crescendo nella fede cristiana e nel desiderio del servizio ai più poveri. Muore il 4 luglio 1925; il giorno dei suoi funerali una folla immensa di persone povere, umili, gli ultimi tra gli ultimi, lo saluta e lo ringrazia. Vicino ai giovani di tutto il mondo per la sua autenticità e bellezza è presente nelle giornate mondiali della Gioventù da sempre. La sua famiglia, in particolare la sorella Luciana, ha dedicato la sua centenaria vita nel ricostruire le virtù umane e spirituali del fratello.

Luca Rolandi

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