Una vita da gregario

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di Mons. Guido Marini, Vescovo

Ho sempre amato il ciclismo. Fin da bambino, in casa, ho respirato una vera e propria passione per questo sport straordinario. La mia mamma, da tifosa, mi parlava del grande Bartali. Il papà, da tifoso, del grande Coppi. L’antica rivalità, che aveva percorso le strade dell’Italia intera, aveva percorso anche le relazioni familiari.

Il mio, però, di bambino era ormai un altro tempo. Il tempo di Gimondi e di Motta, di Merckx e di Ocaña. Sulla spiaggia, durante le vacanze estive, il passatempo preferito era quello delle gare con le palline, colorate da una parte e trasparenti dall’altra, con dentro il volto e il nome del ciclista, sulle piste realizzate nella sabbia.

Divenni più grande. Era il tempo di Moser, Saronni, Battaglin, Hinault… Il mio papà inventò per me, alla ricerca di un gioco tutto mio, la corsa ciclistica fatta in casa, con regole semplici e precise. Gli attori erano piccoli ciclisti sulle loro piccole biciclette: chi in posizione di passista, chi in posizione di scalatore, chi in posizione di velocista. Tutti rigorosamente con la maglia della loro squadra. In forza delle regole, inventate dal mio papà e da me adottate, i corridori potevano allungare sul gruppo, rimanere indietro, scattare all’improvviso.

Ormai ero adolescente. Il tempo del gioco finì. Ma non finì la passione per il ciclismo, condivisa tra l’altro, e con entusiasmo, con mia sorella. Negli anni sono stati tanti i campioni che ho ammirato, italiani e stranieri: Indurain, Pantani, Contador, Nibali… Fino a oggi, quando i grandi protagonisti rispondono al nome di Tadej Pogacar, Jonas Vingegaard, Remco Evenepoel, Primoz Roglic…

Ho accennato ad alcuni tra i grandi protagonisti di questo sport. Nel tempo, però, ho imparato a guardare con singolare attenzione a coloro che vengono definiti “gregari”. Alcuni di loro, con il passare degli anni, sono divenuti capitani delle loro squadre e noti campioni. Penso, ad esempio, a Miguel Indurain, prima gregario di Pedro Delgado. Altri, invece, sono rimasti gregari, per tutta la durata del loro impegno sportivo.

La loro figura esercita su di me un fascino particolare, al pensiero che qualcuno trascorra la propria carriera sportiva interamente al servizio della squadra e del suo capitano, sempre proteso a fare in modo che la squadra possa vincere, che il capitano possa vincere: donando tutte le proprie energie, fino allo sfinimento. E, alla fine, contento non perché sia lui alla ribalta della cronaca e riconosciuto campionissimo, ma perché lo possa essere qualcun altro. Mi tornano alla mente tante scene viste in televisione, nelle quali il gregario attende il capitano in difficoltà, gli tira la volata, letteralmente lo trascina su per la salita, si mette in testa al gruppo per fare velocità e preparare il terreno favorevole perché il compagno di squadra possa allungare sugli altri.

In questo splendido dettaglio del ciclismo, mi pare di cogliere una dimensione bellissima della vita. Anche nella vita, infatti, ci sono i campioni e i campionissimi. Ma ci sono perché esistono i gregari: uomini e donne fedelissimi, che trovano la loro gioia e il senso pieno della loro vita nel porsi al servizio silenzioso di altri, contenti perché altri possano emergere e assaporare la vittoria. Entusiasti per una vittoria che diventa anche la loro vittoria.

Ho spesso pensato che la commovente ed emozionante figura del gregario riflette anche una dimensione centrale della fede. In realtà, infatti, Dio stesso ha voluto, in qualche modo, farsi nostro gregario. Il Suo venire ad abitare in mezzo a noi, amandoci fino alle estreme conseguenze e donando la Sua vita per la nostra salvezza, ci fa venire i brividi, di gioia, di stupore e meraviglia. Dio è contento che noi siamo i campionissimi. Egli esulta nel Suo infinito Amore quando siamo noi a tagliare il traguardo per primi e finalmente salvati. Egli è felice della nostra vittoria, che è anche la Sua. Egli è il migliore e ineguagliabile dei gregari!

Per questo, nel ciclismo, la vita del gregario non parla a noi solo della bellezza dell’amore nelle relazioni umane. Quella vita, fatta di discrezione, retrovie, dedizione, dimenticanza di sé e silenzio, parla a noi anche della bellezza infinita e senza tempo dell’amore di Dio, dell’amore che è Dio, in Gesù Cristo.

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