L’enigma (risolto) dello stemma degli Squarzoni e del Comune di Viguzzolo

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Ercole o Sansone?

Carlo Varni nel 2018 ha dato alle stampe l’interessante volume “Da Castro degli Squarzoni a Castellar Guidobono – Le vicende di un paese con venti secoli di storia”, con di Mons. Sergio Pagano, Prefetto dell’Archivio Segreto Vaticano e vescovo titolare di Celene (Caldas de Reis), antica diocesi della Galizia, ormai soppressa e accorpata a quella di Santiago de Compostela.

Proprio il presule, legato a Varni da una lunga e solida amicizia, in occasione di un loro incontro a Roma, ha fatto notare «un’inesattezza» riguardanteil personaggio raffigurato sullo stemma della famiglia Squarzoni, che coincide con quello attuale del Comune di Viguzzolo.

Grazie al suo intervento l’autore, come racconta, ha potuto fare un’interessante scoperta che è stata seguita da una dovuta “errata corrige”.

Nel mese di marzo del 2019 Mons. Sergio Pagano, durante una giornata di studi, organizzata presso l’“Istituto Patristico Augustinianum” di Roma, per il suo settantesimo genetliaco, alla quale ho partecipato, mi ha fatto bonariamente notare come nel secondo capitolo del mio libro “Da Castro degli Squarzoni a Castellar Guidobono – Le vicende di un paese con venti secoli di storia” (pag. 22) fossi incorso in un’inesattezza in merito al personaggio raffigurato nello stemma araldico della famiglia Squarzoni, che è anche quello che campeggia in quello del Comune di Viguzzolo: a suo avviso si tratta, infatti, dell’eroe biblico Sansone e non di quello mitologico di Ercole come comunemente creduto.

Io, infatti, mi ero scrupolosamente attenuto a quanto affermava il grande storico tortonese Aldo Berruti (1899 – 1986), che, nella sua monumentale opera “Tortona Insigne – Un millennio di storia delle famiglie tortonesi”, parlando degli Squarzoni e del loro stemma araldico, riferisce testualmente che il personaggio in esso raffigurato è «un Ercole che squarcia le fauci di un leone».

L’autore trascrive poi le descrizioni araldiche di due rami della casata (estintasi nel Tortonese nel corso del XIV secolo ma tuttora presente nel Ferrarese e in alcune zone del Veneto).

La prima, a cura dello storico Marco Cremosano (1611 – 1704), recita: «D’azzurro all’Ercole nudo i fianchi ricoperti da una fascia svolazzante d’argento in atto di squarciare le fauci di un Icone d’oro, rivolto, seduto, il tutto sostenuto da un terreno di verde».

La seconda, invece, dell’insigne genealogista Vittorio Spreti (1887 – 1950) così lo descrive: «D’azzurro all’Ercole nudo appoggiato sulla schiena di un leone in atto di squarciargli la gola il tutto al naturale movente da un terreno di verde, accompagnato nel cantone destro del capo da un sole nascente d’oro e sormontato da un breve d’argento carico del motto “De Forti Dulcedo”».

Entrambi gli stemmi non si differenziano molto da quello in uso al Comune di Viguzzolo, nel centro del quale campeggia per l’appunto la figura di “Ercole” in lotta con il leone con un sottostante motto che recita invece “Fortibus tantum pugna pro patria”.

Nell’Archivio Storico di Viguzzolo è stato possibile reperire l’istanza inoltrata in data 19 gennaio 1939 dall’allora Podestà del Comune (Cent. Rag. Ansaldo Vaccari Giuseppe) a SE. il Capo del Governo – Presidente della Consulta Araldica affinché «voglia compiacersi addivenire al riconoscimento legale dello stemma di questo Comune recante, in campo cielo e terra, la figura di Ercole fanciullo che lotta col Leone e con il motto “Fortibus tantum pugna pro Patria”, il tutto compreso nello scudo con manto e sormontato da Corona Ducale». La pratica non deve aver però avuto seguito alcuno, forse a causa dei successivi tragici eventi bellici. Lo si può dedurre da una lettera che in data 27 febbraio 1952 il Comune ebbe a trasmettere alla Direzione di un non meglio precisato “Studio Araldico di Genova” al fine di «sospendere la prosecuzione della pratica di riconoscimento dello stemma comunale, in quanto quello rimesso [dallo studio al Comune]: non è conforme a quello riportato da una vecchia tela in possesso di questo ente e appesa all’entrata dei suoi uffici. La stampa, che si crede del XVII secolo, raffigura un Ercole (sic) bambino che apre la bocca di un leone. La discordanza fra i due disegni è troppo evidente e quest’Amministrazione ha concluso di tener valido il primo che, per vetustà è ritenuto autentico e gode, quindi, delle prerogative e dei favori di questa popolazione». Il Comune aveva dato formale incarico al suddetto studio araldico di elaborare una proposta per il proprio stemma araldico partendo da quello descritto nella richiesta del 1939. Proposta però rigettata sia perché troppo discordante dalla bozza proposta dal Comune stesso sia – aggiungiamo malignamente noi – per i costi ritenuti forse eccessivi negli anni critici del dopoguerra. A questo punto sarebbe però (forse) interessante sapere se, negli anni successivi, il Comune ha ripreso la pratica per regolarizzare con la Presidenza del Consiglio la concessione del proprio stemma araldico.

A ogni buon conto anche Domenico Peverone, nella sua pregevole opera postuma (“Viguzzolo il Borgo Insigne”) si sofferma sullo stemma del Comune, senza però fare riferimento all’eroe mitologico. Egli si limita, infatti, a parlare di «un giovane che lotta con un leone e, afferratolo per le fauci, lo riduce all’impotenze». In una successiva nota, lo storico precisa che «il suddetto stemma è molto simile a quello degli Squarzoni che furono signori di Castellaro», quasi a conferma di una tesi avanzata nel nostro libro, che cioè «il vicino paese di Viguzzolo, almeno per un certo periodo, abbia costituito un feudo degli stessi Squarzoni» proprio per la somiglianza indiscutibile fra i rispettivi scudi araldici. Per tornare però alle osservazioni di Mons. Pagano occorre precisare che l’uccisione del leone di Nemea costituì la prima delle dodici fatiche di Ercole. Il mitologico animale aveva una pelliccia impenetrabile dalle armi, non scalfibile da ferro, bronzo, metallo o pietra, e poteva essere sopraffatto solo dalla forza umana. Ercole, infatti, cercò inutilmente di trafiggerlo con arco e frecce. Riuscì però a tramortirlo con una clava e a soffocarlo dopo aspra lotta e solo dopo essere riuscito a cingergli il collo con un braccio. Senza quindi squarciargli le fauci con entrambe le mani nude come fa invece il personaggio raffigurato sullo scudo araldico degli Squarzoni e su quello del Comune di Viguzzolo. Non può trattarsi della figura mitologica di Ercole come si era sempre creduto. L’eroe capace di una tale impresa è stato invece Sansone, come precisato da Mons. Pagano, e l’episodio dell’uccisione del leone che abbiamo già descritto a sufficienza e ben argomentato nel “Libro dei Giudici” (14, 14). Il giovane eroe si era invaghito di una ragazza filistea (una popolazione storicamente ostile a quella ebraica) che volle sposare contro la volontà dei genitori.

Mentre si recava da lei, nei pressi delle vigne di Timna fu assalito da un leone che riuscì a uccidere a mani nude squarciandogli le fauci (e non soffocandolo come aveva invece fatto Ercole). Ritornando dalla sposa per le nozze rinvenne nella carcassa della bestia uccisa uno sciame di api che l’avevano parzialmente riempita di miele. Sansone se ne nutrì, offrendone anche alla donna e ai suoi genitori, senza però specificarne la provenienza. Durante il banchetto nuziale Sansone sottopose un enigma ai Filistei convenuti, per mostrare loro oltre alla propria forza, anche la propria intelligenza: «De comediente exirit cibis, et de forti egressa est dulcedo» («dal divoratore è uscito il cibo, e dal forte la dolcezza»). Qualora i Filistei fossero riusciti a risolvere l’enigma, entro sette giorni, egli avrebbe loro regalato trenta tuniche e trenta vesti, mentre se non ci fossero riusciti avrebbero dovuto fornirne altrettante a lui. I Filistei, non riuscendo a cavare il proverbiale ragno dal buco, minacciarono la sposa di incendiare la sua casa e pure di ucciderla, se non fosse riuscita a estorcere al marito la soluzione.

La donna (il cui nome è taciuto nel racconto biblico) cominciò a tormentare Sansone affinché – come prova del suo amore – le svelasse l’enigma. Il settimo giorno Sansone cedette alle lacrime della giovane moglie e le rivelò l’episodio dell’uccisione del leone. I Filistei ne furono prontamente informati e, alla precisa scadenza del tempo loro concesso, diedero la risposta esatta a un sorpreso Sansone. «Che c’è di più dolce del miele? Che c’è di più forte del leone?».

Questi comprese di essere stato ingannato dalla moglie e, per adempiere, comunque, alla promessa, si recò nella città filistea di Ascalon, dove uccise trenta uomini prendendo le loro vesti e consegnandola agli invitati. Dopodiché se ne andò in preda all’ira abbandonando la sua sposa, che fu poi uccisa dagli stessi Filistei per tutte le stragi e le rappresaglie messe in atto dal vendicativo Sansone, come ben documentato dalla Bibbia.

Carlo Varni

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