Campane suono dell’eterno

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di Maria Pia e Gianni Mussini

“Che mondo sarebbe senza il suono delle campane?”, si è chiesto il direttore nell’editoriale del 6 luglio scorso. Parole che ci hanno colpito: in primo luogo per la consonanza con l’incipit di una delle Rime cristiane di Gianni (“Che cosa sarebbero i paesi / padani senza campanili?”); ma ancor più per la verità che rivelano: le campane sono il suono dell’eterno che si fa percepibile qui e ora; aria che si fa concreta, ed è portatrice di senso.

C’è una poesia di Clemente Rebora che commosse anche un personaggio tutt’altro che clericale come lo scrittore Sebastiano Vassalli, il quale lamentò una volta l’invalsa sostituzione delle campane con “orripilanti carillon elettronici” ai quali nessuno potrà mai affezionarsi. Aveva in mente, per contrasto, uno dei Canti anonimi reboriani, che riproduciamo integralmente: “Campana di Lombardia, / Voce tua, voce mia, / Voce voce che vai via / E non dài malinconia / Io non so che cosa sia, / Se tacendo o risonando / Vien fiducia verso l’alto / Di guarir l’intimo pianto, / Se nel petto è melodia / Che domanda e che risponde, / Se in pannocchie di armonia / Risplendendo si trasfonde / Cuore a cuore, voce a voce – / Voce, voce che vai via / e non dài malinconia”.

Sembra una canzonetta per bambini, ma in realtà questi ottonari così lievi e cantabili celano una profonda verità: la campana non dà malinconia perché “è voce di qualcosa che è qui da sempre” (così Luca Doninelli, altro scrittore).

Della magia delle campane fu testimone addirittura un generale sovietico, il dissidente Pietro Grigorenko. Imprigionato dal regime comunista, sin dalla prima sera avvertì in lontananza il suono di una campana, quasi soffio di libertà capace di oltrepassare le sbarre del carcere. Fu l’inizio di una conversione che gli fece riscoprire i tesori della fede d’infanzia. Di qui il proposito di visitare – non appena liberato – la chiesa da cui proveniva quel suono. Ciò che puntualmente avvenne.

Nel suo editoriale, il direttore ci ha anche informato di un decreto della Corte di Cassazione, nientemeno, mirante a disciplinare l’uso delle campane. Burocrazia vs poesia, insomma. Se ne è dovuto occupare il vescovo Guido Marini in un documento pubblicato sullo stesso numero del giornale. Prendendo atto delle indicazioni del decreto, mons. Marini fa però notare – non senza un’opportuna dose di humour cristiano – che la richiesta di “ridurre il volume” del suono delle campane “è irricevibile”: infatti ogni campana “in forza delle sue dimensioni, ha una tonalità ed emette una nota, e quella è senza alcuna possibilità… di mutarla o ridurla”. Ben detto: una sorridente lezione per il burocrate che ha redatto il documento. E un ulteriore dono – se pure indiretto – delle campane a tutti noi che umilmente ci ostiniamo a considerarle insostituibili amiche nel viaggio della vita. E oltre.

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