Se ti sposi, resti giovane

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di Maria Pia e Gianni Mussini

Nel finale del romanzo Maigret ha paura, George Simenon ci offre un siparietto tra il famoso commissario e la moglie. “L’ho trovato invecchiato”, dice il primo riferendosi all’amico Chabot, incontrato dopo anni in una località della provincia francese. “Quanti anni ha?”, chiede la moglie. “La mia età, due mesi di differenza”. E ora attenti alla conclusione: “La signora Maigret stava riordinando la stanza, come sempre prima di andare a dormire. ‘Avrebbe dovuto sposarsi’, concluse”.

È un passo che citiamo spesso nei corsi per fidanzati a cui siamo invitati. Il matrimonio dunque come epos quotidiano che mantiene giovani. Da parte nostra lo confermiamo, anche a costo di trasgredire l’ammonimento di Oscar Wilde a non lavare in pubblico i panni… puliti.

Ma Simenon parla della grandezza della coniugalità familiare anche quando apparentemente la mette in crisi. Per esempio nel romanzo che abbiamo appena letto: Il treno.

La vicenda è semplice. Nel maggio 1940, mentre l’esercito tedesco – liquidata la Polonia – invade il Belgio e preme sulle Ardenne francesi, moltissimi profughi scappano con ogni mezzo verso sud. Tra questi l’elettrotecnico Marcel Féron, con la moglie incinta e una figlia di quattro anni. Tipico esempio di uomo senza qualità, Marcel conduceva un’esistenza priva di lampi, e ora sembra lieto che il destino gli proponga un’occasione per movimentare la vita. Mentre la moglie e la bambina sono accolte in un regolare scompartimento per passeggeri, lui, ammassato su un carro merci, si siede sul proprio baule. Di fronte c’è Anna, una bella cecoslovacca di origine ebraica (nel film tratto dal romanzo i due sono interpretati da Jean Louis Trintignant e da un’incantevole Romy Schneider). Scoppia ben presto la passione, che si consuma nelle numerose soste del lentissimo convoglio e persino sul vagone, in mezzo a un campionario di umanità disperatamente attaccata alla vita.

Intanto il treno è diviso in due parti, destinate a luoghi diversi. Le cose procedono così sino a quando Marcel può ricongiungersi con la famiglia. Senza rivelare la conclusione del romanzo e neppure quella, divergente, del film (che ha comunque il titolo parlante Noi due senza domani), notiamo qui la contrapposizione tra un’idea scialba di famiglia, fatta di abitudine e piccoli doveri, e la travolgente passione che infiamma i due protagonisti.

Il nostro vecchio parroco, l’emiliano don Carlo Diegoli, ci ripeteva sempre una frase di cui abbiamo fatto tesoro: «Quando due mi dicono che si sono lasciati perché non si amano più, rispondo che non è vero: in realtà non si sono mai amati, perché l’amore vero, se c’è, non può che crescere».

Forse al povero Marcel mancava proprio questo amore, un’avventura fatta di eros e agàpe, cioè di corpo e anima, attrazione e gratuita generosità. Anche per questo era incapace di dare un senso alla propria vita. A differenza dei coniugi Maigret.

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