Origini dell’odio ed espressione dell’aggressività

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Un tentativo di spiegazione di ciò che accade in questi giorni in Palestina. La scienza psicologica ci può dare delle risposte

Per tentare una spiegazione di ciò che accade in questi giorni in Palestina, desidero riallacciarmi all’editoriale del direttore di questo settimanale, pubblicato il 19 ottobre scorso, che, in chiusura, riporta l’accorato appello per la pace di Papa Francesco.

Mi limito a citare alcune parole di tale appello, che ritengo particolarmente significative, non solo per il loro valore intrinseco, ma anche ai fini della mia ricerca di una spiegazione di eventi tanto dolorosi quanto raccapriccianti: “La guerra non risolve alcun problema, semina solo morte e distruzione, aumenta l’odio, moltiplica la vendetta”.

Parole sante, mai ripetute a sufficienza.

Lo studio psicologico del comportamento ha dato più di una risposta all’aggressività, che, soprattutto nelle sue forme più distruttive, è una delle espressioni dirette dell’odio. Per quale ragione le risposte della scienza psicologica sono più di una? Perché l’aggressività è un processo complesso e multiforme, che attraversa l’apparato psichico di ciascuno di noi.

L’odio, generato da un’avversione profonda e coltivata nel tempo, può essere considerato un sentimento di ostilità, totale e senza sconti, nei confronti di singole persone e gruppi, dei quali si desiderano sventure e morte.

Tra le varie ipotesi sull’aggressività, formulate in ambito psicologico, penso che l’ottica teorica, ormai considerata “classica”, di John Dollard, Neal E. Miller e colleghi, dell’Istituto di Relazioni Umane della Yale University (USA), sia quella che meglio si attaglia alla descrizione del quadro di morte e desolazione che si è abbattuto sulla Palestina. Il lavoro più rappresentativo sull’argomento dei succitati ricercatori è la monografia dal titolo (tradotto in italiano) Frustrazione e aggressione, in cui si osserva che, definita la frustrazione come “stato psichico determinato dal non raggiungimento di uno scopo”, ad essa consegue sempre un’aggressione, manifesta o non manifesta.

“Il non raggiungimento di uno scopo” si riferisce a una molteplicità di situazioni, compresa l’impossibilità di conseguire obiettivi che soddisfino bisogni di importanza vitale. Sulla base di questi presupposti, le mostruosità commesse da Hamas, non penso che possano essere considerate un estemporaneo fenomeno di follia collettiva.

Desidero ora soffermarmi sul proposito di Israele di annientare il terrorismo, uccidendo tutti gli uomini di Hamas. Sempre che ciò sia possibile, si tratta, a mio modo di vedere, di una pura illusione, sulla base del fatto che, parafrasando le parole del Santo Padre, “sangue chiama sangue”. Una vendetta del genere, ammesso che possa essere compiuta, non farebbe che aumentare l’odio delle giovani generazioni di Palestinesi, che, raggruppati in formazioni terroristiche, siano esse sotto la bandiera di Hamas o sotto qualsiasi altra bandiera, con molta probabilità commetterebbero nuovi eccidi. Quindi si assisterebbe, speriamo di no, a nuovo terrore, nuovi lutti, nuove indicibili sofferenze.

Quando mai la pace farà risplendere la stella di Davide?

Pier Luigi Baldi

Illustrazione di Maurizio Immovilli
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