La passione civile per “tutti”

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Il ricordo di Giancarlo Caldone

Servono dita lievi sui tasti per scrivere di Giancarlo Caldone, per tentare di rendere la levità affabile del suo carattere e del modo con cui era solito confrontarsi con tutti. Tutti, senza i filtri che spesso definiscono le relazioni: di ambito professionale, o di consuetudine, o di affinità caratteriale. Tutti, come nel variegato, commosso, popolosissimo corteo che lo ha accompagnato in questo ultimo viaggio difficile da credere. Tutti: i congiunti, i colleghi sindaci, i consiglieri comunali, amministratori in carica e non più in carica, uomini della politica, della finanza, dell’amministrazione, gli amici di sempre, gli amici recenti, gli amici cantanti. Tutti: la gente, quella che ha ispirato il suo modo di fare politica, quella che lo ha sostenuto e quella che lo ha criticato. La gente, quella di Volpedo. È morto da sindaco di Volpedo, Giancarlo, il ruolo più amato e forse più desiderato, nonostante un passato politico da consigliere e poi assessore provinciale, nonostante il seggio da deputato sfiorato alla fine degli anni Novanta per uno zero virgola percentuale contro un candidato berlusconiano che, in una sfibrante campagna elettorale, non si era mai fisicamente palesato nel collegio. Non serviva, erano tempi così. “E adesso?”, “E adesso, ho perso. Domani si ricomincia”. Perché la campagna elettorale inizia il giorno dopo le elezioni, vinte o perse che siano. Caldone non aveva mai smesso di intendere la politica in modo antico, come un percorso di gavetta e di voti prima per altri e poi per sé, di chilometri e di contatti, di manifesti, di parole e di strette di mano. Aveva intuizione e intelligenza nelle scelte politiche, nel tessere e nutrire relazioni, mai venute meno dopo la diaspora del partito socialista, cui era ancora iscritto: “un grande camminatore dei corridoi romani” lo aveva definito Paolo Gentiloni quando, poco più di due anni fa, era venuto a Volpedo in veste di premier per parlare della legge sui piccoli comuni. Volpedo. C’era sempre Volpedo, terra amatissima come e più della Valcurone, fine ultimo del suo lavoro, sguardo a cannocchiale rovesciato sul mondo. Dal piccolo al grande, dal particolare al generale: come deve fare un sindaco, diceva La Pira: “riparare le strade e pensare alla pace nel mondo”. Se si è voltato indietro, Giancarlo, in questi pochissimi e sofferti mesi di malattia, avrà visto la soddisfazione di aver compiuto la sua missione come l’aveva pensata: una politica fattiva, poco social e molto sociale, tessuta in modi discreti tra voci sempre più sguaiate, il paese di Pellizza con una storia ormai trentennale di crescita culturale alla cui costruzione ha dato un contributo vitale, il paese delle pesche diventato “spiga verde” per pratiche di agricoltura sostenibile, uno dei “Borghi più belli d’Italia” con il monumentale lavoro dell’ hub Volpedo per sistemare un progetto accidentato dando vita a spazi nuovi, il paese di “Quarto Stato” che ha accolto “Quarto Stato” nel 2001 insieme a più di cinquantamila visitatori, suo capolavoro di relazioni. Avrà visto la sua passione civile prender forma nell’attenzione alle esigenze di tutti, nell’accoglienza dei migranti, nella gestione quotidiana della cosa pubblica che non trascurasse nulla, bambini e anziani soprattutto, nell’idea ecumenica di convivenza pacifica di tutti tra tutti. Meglio se al suono della musica. Meglio se dall’ultima fila, come ha detto don Fulvio Sironi nella messa funebre, perché dal fondo si vede meglio ciò che c’è davanti. Le pareti del suo ufficio, in ultimo quello da sindaco di Volpedo al terzo mandato, sono sempre state abitate dalle stesse immagini: Angelo Stringa, suo antenato, sindaco socialista di Volpedo nel primo dopoguerra, antifascista messo alla fuga, Riccardo Lombardi, leader del socialismo umanitario, i cittadini di Volpedo in posa in una foto da inizio millennio, il crocifisso. E sono la narrazione di ciò che lo ha sempre ispirato e ne nutrirà un ricordo denso di commozione.

Manuela Bonadeo

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