Il monachesimo femminile a Tortona: il monastero sepolto

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Mentre la città e la Diocesi stanno celebrando la figura della Madre Anna Maria Canopi, ricordiamo due episodi significativi che hanno segnato la storia della vita contemplativa femminile di Tortona, a margine della conferenza sul tema che don Maurizio Ceriani ha tenuto ieri, mercoledì 20 marzo, in Biblioteca civica

DON MAURIZIO CERIANI

Santa Innocenza

La tradizione tortonese, confluita negli Acta Sancti Innocentii, di cui i recenti studi di Paolo Tomea hanno rivalutato sia l’antichità sia l’attendibilità, ha custodito diverse notizie sulla famiglia del santo vescovo che organizzò la Diocesi dopo l’Editto di Costantino. Ricorda la casa di campagna a pochi chilometri da Tortona, lungo il corso del “flumen Coluber”, l’attuale Grue, chiamata “Villa Floriaca” dove il senatore Quinzio e sua moglie Innocenza, matrona lucchese, i genitori di sant’Innocenzo, nascondevano i cristiani perseguitati e dove il vescovo san Giuliano, in clandestinità, celebrava l’Eucaristia, coadiuvato dal suo diacono san Malliodoro. Ricorda anche la pia sorella del santo vescovo, che prese il nome della madre Innocenza, vittima col marito della persecuzione di Diocleziano. Innocenza si consacrò alla preghiera e alla carità, sostenendo in questo modo l’impegno pastorale del fratello vescovo, accanto a cui volle vivere in penitenza. Gli Acta riportano la singolare notizia che altre donne dell’aristocrazia cittadina, colpite dal suo esempio, vollero unirsi alla sua forma di vita, iniziando un cenacolo comunitario di contemplazione.

Per la sorella e le sue compagne sant’Innocenzo edificò un palazzo “dotandolo di pozzi e acqua corrente da una cisterna”, sul colle dove oggi sorge il convento dei Cappuccini. Nacque così il nucleo di quello che successivamente nel tempo, quando la vita religiosa femminile si sarebbe organizzata, diverrà il monastero di sant’Eufemia.

Quando, il 19 settembre 1586, Mons. Cesare Gambara fece demolire la cappella e l’arca di sant’Innocenzo nell’antica cattedrale per ricercare i corpi dei Santi Patroni, il verbale annota che sull’arca erano scolpite le teste di sant’Innocenzo, di santa Innocenza, di san Marziano e di san Secondo, a testimonianza di come la santa sorella fosse associata al culto di Marziano e Innocenzo.

Le “Madri, le sorelle e le figlie carissime di Santa Serafia”

Eustachio Bussa, nel manoscritto del 1780 Raccolta di notizie riguardanti Tortona, indica il 1221 come data d’inizio della presenza a Tortona delle monache di santa Chiara. La presenza clariana in città segue una storia singolare, perché l’iniziativa di fondare una nuova comunità contemplativa fu presa da alcune pie donne facoltose di Tortona, che fecero edificare a proprie spese il monastero, ponendolo sotto il titolo di santa Serafia, martire romana del II secolo, ancella della patrizia romana Sabina, moglie del senatore Valentino, anch’ella martire e santa (a cui si aggiunse anche il titolo di santa Chiara, dopo la sua canonizzazione). La sua collocazione era tra le attuali vie Emilia, Carducci e Montebello, di fronte alla chiesa di san Michele, nell’area occupata oggi dai portici Frascaroli. La fondazione tortonese non solo è avvenuta ancora vivente santa Chiara, ma addirittura a soli nove anni da quella notte, seguente la Domenica delle Palme (18 marzo) del 1212, che vide Chiara diciottenne lasciare segretamente la casa paterna per raggiungere Francesco alla Porziuncola e ricevere da lui il saio della vita religiosa. Ci troviamo di fronte a una delle più antiche comunità clariane d’Italia e del mondo, avvenuta grazie all’iniziativa di alcune famiglie della nobiltà e dell’alta borghesia locale.

Anche se le affermazioni del Bussa – che dice di fondare le sue notizie su documenti esistenti alla sua epoca (1780) ma che sono per noi perduti – non possono essere ulteriormente verificate, esiste un documento incontrovertibile sulla presenza a Tortona di una comunità religiosa femminile legata all’esperienza di santa Chiara, di pochi anni successivo alla data del 1221. Si tratta della lettera, inviata da Perugia il 18 agosto 1228, con cui il cardinale Rainaldo dei Conti di Segni, vescovo di Ostia e Velletri, rendeva noto che il Papa Gregorio IX lo aveva appena nominato cardinale protettore del nuovo Ordine di San Damiano. Tra le 24 comunità a cui è indirizzata, la lettera si rivolge anche alle “matribus, sororibus ac filiabus carissimis de Sancta Seraphia de Terdona”. A esse il cardinale fa presente di aver nominato un nuovo visitatore nella persona di Fra’ Filippo al posto del dimissionario Fra’ Pacifico. Gli storici del Francescanesimo non sono concordi nell’identificare il “nuovo Ordine di San Damiano” semplicemente con le monache di santa Chiara, perché col nome di “Ordine di San Damiano” o di “Povere Dame della Valle di Spoleto” è indicato un progetto che fa capo al cardinale Ugolino (che sarà proprio il futuro Gregorio IX) e che ufficialmente prese avvio con una regola da lui redatta nel 1219 sulla base di quella di san Benedetto.

L’idea del cardinale era di dar vita a un ordine femminile dedito alla contemplazione e alla preghiera, immediatamente soggetto alla Sede Apostolica e a nessun altra autorità, su cui far perno in quello sforzo di rinnovamento spirituale e di resistenza alle ingerenze imperiali, avviato a suo tempo da Innocenzo III. Il cardinale Ugolino fu grande ammiratore di Francesco e di Chiara e ben presto volle fare di San Damiano il centro e il cuore dell’Ordine da lui istituito, affidandone la cura ai Frati Minori. Non è neppure da escludere che, nel suo progetto, fosse stato ispirato proprio dall’incontro con l’esperienza dei due santi di Assisi. Tant’è che, una volta Papa, volle che il nome del nuovo Ordine femminile fosse “Ordo Sancti Damiani”, segno del legame carismatico che intercorreva da sempre tra il monastero di cui Chiara d’Assisi era abbadessa e le altre fondazioni, compresa quella tortonese. Va infine ricordato che, proprio a Tortona, contemporaneamente alla fondazione del monastero di santa Serafia, andava avviandosi pure l’esperienza, per molti versi analoga a quella francescana, degli Umiliati.

I frati prendevano possesso canonico del convento di san Marco (parte del quale è ancora visibile in uno dei chiostri del Seminario) il 23 luglio 1232, mentre le monache Umiliate davano vita al monastero di santa Barbara, localizzabile tra le attuali piazza Malaspina e via Zenone. Questo fa comprendere che il già esistente monastero di santa Serafia si poneva in un preciso contesto d’identità, che non era quello generale della penitenza, seguito dagli Umiliati, ma quello specifico della spiritualità serafica di Francesco e Chiara.

Va precisato che Chiara aderì in obbedienza al progetto del cardinale Ugolino, ma cercò di mantenere un ideale diverso, più direttamente legato all’esperienza di Francesco, della quale si sentiva in parte custode e interprete; fu così che nel 1253 riuscì a fare approvare, da Papa Innocenzo IV, una regola scritta da lei per la comunità di San Damiano, dove l’Ordine è chiamato “Ordo Sororum Pauperum”, che da quel momento non si identifica più con l’“Ordo Sancti Damiani”. Quest’ultimo dato, unito al fatto che il monastero tortonese assumerà presto anche il titolo di santa Chiara (alla fine resterà l’unico poiché si perderà quello di santa Serafia, come attestano i documenti dei secoli successivi) e sarà sempre indicato come monastero di Clarisse, porta a concludere che le monache tortonesi, a cui si rivolgeva nel 1228 il cardinale Rainaldo, fossero proprio una comunità legata all’esperienza serafica che santa Chiara stava vivendo ad Assisi e che, insieme a lei, passerà alla regola di Innocenzo IV.

(Nella foto: Santa Caterina dipinta sul muro di un’abitazione in piazza Malaspina a Tortona, dove sorgeva prima il monastero delle Umiliate e poi delle Domenicane)

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