La forza di andare avanti anche dopo un grande dolore

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Aurora continua a “insegnarci la vita”, anche se è “salita al Cielo”. E la sua mamma Anna testimonia che il dono più grande che si possa ricevere è la fede in Dio

«La morte non è una fine, è l’inizio di un nuovo percorso. Il posto vuoto a tavola ti devasta, però io mia figlia la sento sempre dentro di me. L’albero di Natale continuo a farlo, perché bisogna continuare a vivere anche per chi non c’è più e capire quanto siamo fortunati a poterci ancora giocare la vita».

Il posto vuoto è quello di Aurora Franzé, classe 2008, volata in cielo nel 2017. Le parole sono quelle di mamma Anna Loisi che ci fa il dono più bello per questo Natale: condividere con noi la vicenda di Aury con la sua storia di una malattia cattivissima, una leucemia severa, di trapianti di midollo, di cure faticose e devastanti, di ricoveri in ospedale, di viaggi tra la Calabria e Pavia, ma soprattutto di speranza e di luce.

«In ospedale sei un treno – racconta Anna – devi supportare i bambini che sono meravigliosi, non hanno tutti i nostri filtri. Durante i ricoveri Aurora era felice perché aveva la sua mamma tutta per sé.

Penso al Natale: i bambini sono la manifestazione della gioia, il volto più vero del Natale anche in quel reparto. Sono contenti di fare l’albero, mettersi il cappellino. Vederli e stare con loro ti costringe ad accantonare la nostalgia di feste trascorse fuori da quel luogo. Ci sono fasce orarie terribili in ospedale – penso al dopo cena – quando ti viene il magone, ma basta una canzoncina, un disegno e tutto cambia».

Che Natale vogliamo?

Ci aiutano Anna e la sua Aurora a chiarirci le idee: «Rifletto sul significato e sull’autenticità del Natale. La parola chiave è “speranza”. In quel reparto è lei che ti dà la forza di andare avanti, è lei che ti governa. Lì è Natale tutti i giorni.

Sentirti dire che tua figlia ha un tumore, sentirti snocciolare la percentuale che ha di farcela o non farcela è terribile. E allora ti concentri su quella percentuale e metti in atto tutto quello che si può per rendere ogni momento speciale. E questo trova il suo culmine nel Natale. Ora il ricordo di quei giorni mi aiuta a dare un senso diverso alle mie giornate.

Quando stiamo bene diamo tutto per scontato, non apprezziamo le piccole cose. Si avvicina il 25 dicembre e vedo tutta questa frenesia, questo attaccamento alle cose materiali. L’esperienza tragica dell’ospedale ti aiuta ad essere una persona diversa, più autentica e non solo nei giorni delle feste».

È una storia di luce quella di Aurora. «Aury non c’è più, ma ci ha insegnato tantissimo. Era una leonessa, non si è mai arresa, sorrideva sempre, era felice solo per il fatto che potevamo stare insieme. Si accontentava di poco anche quando stava in ospedale».

Ed è proprio nei lunghi giorni della malattia che Anna ed Aurora incontrano gli “Amici del 4° piano”, un gruppo di persone straordinarie che opera presso il reparto di Oncoematologia pediatrica del San Matteo di Pavia occupandosi di organizzare laboratori e attività di intrattenimento per i piccoli ricoverati. In questi giorni che precedono le feste – ma è così tutto l’anno – sono molti i momenti pensati per portare un sorriso a chi è ricoverato o a chi è al domicilio per le cure. Con la ricompensa più bella che possa capitare a un volontario: «vedere la gioia nel volto dei nostri piccoli amici».

«Sono infinitamente grata – ci dice Anna – agli “Amici del 4° piano” e a tutti i volontari, perché, insieme alla scuola, rappresentano uno sguardo di normalità sul mondo. Per loro, Aurora e tutti gli altri erano semplicemente bambini e non ammalati. Anche durante i cicli di chemioterapia più pesanti, i bambini non erano concentrati sulla malattia, ma sul gioco. E questo grazie a loro».

Le radici di Aurora affondano nella bella Calabria. Ed è lì, a Catanzaro, che si manifestano i primi sintomi di un male perfido. «Aurora si sente male nel 2013, a soli 5 anni. Dopo alcuni controlli, il pediatra ci consiglia di rivolgerci a un centro specializzato. La scelta cade su Pavia e nel giro di 24 ore ci troviamo in volo da Catanzaro verso Pavia, con un bagaglio minimo. Aurora viene ricoverata e usciremo dal policlinico a fine novembre, dopo un mese e mezzo di chemioterapia. Quella diagnosticata a mia figlia è una leucemia particolarmente aggressiva. Per un anno abbiamo vissuto io e lei a Pavia, da sole, tra ricoveri e day hospital».

«Mamma, ma perché Dio mi ha fatto tutto questo?». «Rimani sconvolta da una domanda del genere da parte di una bambina – confida la mamma – e che cosa puoi rispondere? L’ho abbracciata in silenzio e le ho detto: non lo so, so solo che siamo insieme e andiamo avanti. La fede mi ha salvata, mi ha sostenuta, non sarei riuscita a farcela altrimenti».

Aurora sembra rispondere bene alle cure, tanto che rientra in Calabria il 24 dicembre 2014, la vigilia di Natale. Trascorre un anno a casa, fino al dicembre 2015 quando la malattia ricompare. «Vedo le streghe» – dice quando la febbre sale.

Aurora e la mamma sono costrette a tornare a Pavia dove inizia il percorso di preparazione al trapianto di midollo. Sarà sua madre a donarglielo. Il trapianto funziona, le cure post trapianto danno l’effetto sperato, tanto che, per la seconda volta, dopo un altro anno, sempre sotto le feste natalizie, si ritorna in Calabria, «per riprendersi una vita che era rimasta sospesa

per mesi e mesi».

Ma durerà poco, perché subito dopo Capodanno Aurora ritorna a stare male e di nuovo sale a Pavia. Siamo agli inizi del 2017 e la bambina viene sottoposta ad un altro trapianto di cellule staminali, sempre donate dalla madre.

«Mamma. Io da qui non esco più», lo sfogo in un momento di crisi psicologica. Aveva capito che le cose si mettevano male, tuttavia accetta un altro trapianto, «però ad agosto voglio andare al mare».

«Non gliel’ho data vinta e le ho detto di impegnarsi nella cura», continua Anna che l’11 febbraio 2017 aggiunge alla grande preoccupazione per la figlia anche quella del marito Francesco, ricoverato a Firenze per un trapianto di reni. «L’ultima volta che ho visto Aurora davvero felice – ci dice la mamma – è quando ha saputo del trapianto del papà, al quale era legatissima. Era emozionata e da quel momento si è tranquillizzata. Prima di partire per Pavia scrive un biglietto a suo padre: “Il mio pensiero è di guarire, di giocare con il mio papà, il mio papà è una persona generosa, mi dispiace che non è con me”. Il 2017

è un anno difficilissimo, siamo entrate in ospedale a febbraio e non siamo più uscite fino al 21 novembre quando Aurora è

diventata un angioletto, come chiamava

i tanti suoi compagni che l’avevano

preceduta nella salita al Cielo.

Sono stati mesi durissimi, recidive su recidive, terapie fortissime, la malattia

accanisce su di lei. Il suo fisico è devastato, ho visto mia figlia disintegrarsi, senza poter fare nulla e questo è tragico, un genitore non si arrende mai, ma io mi

sono dovuta arrendere».

Che Natale vogliamo salvare? Se lo chiedeva su queste colonne due settimane fa Pierangela Fiorani. Vogliamo salvare

il Natale di Aurora e della sua vicenda

di speranza e di amore.

«Aurora amava la vita e ci insegna che bisogna amare la vita, sempre, con gioia, affrontando anche le sfide più dure con il sorriso, sperando. In ospedale ci si accorge che si è tutti uguali, ci si mette a nudo, la sofferenza ci rende davvero tutti fratelli e sorelle. Ci insegna il valore della condivisione e della solidarietà. In questo senso è davvero fondamentale il lavoro dei volontari, ti aiutano a sperare. La speranza è il mio augurio di Natale».

Termino la video chiamata con Anna. La commozione è davvero grande. Non quella della disperazione, ma quella dello stupore e della gratitudine ad Aurora per il dono di un Natale davvero autentico, di speranza.

Marco Rezzani

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