Mons. Libero Meriggi: la missione nel cuore

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Lunedì scorso abbiamo ricordato i 100 anni dalla nascita di un sacerdote della nostra Diocesi che è rimasto nel cuore di tutti. Vogliamo raccontare qualcosa di lui perché anche le nuove generazioni lo conoscano

di Dino Savio

Libero Meriggi nasce a Stradella il 7 novembre 1922 da Enrico e Maria Fanzini, in via Carlo Ferrero, nella strada detta dei “fruttaioli”, perché da tempo immemorabile vi si teneva il mercato della frutta. La casa era tipica dei piccoli proprietari terrieri: contadina, con cortile, cascina e stalla.

Primogenito di due maschi (il fratello Giuseppe nato nel 1933 muore all’età di 3 anni), Libero è un bambino buono, dal carattere mite e dall’intelligenza pronta, vivace e ben disposto ai giochi, osservatore attento delle cose che lo circondano, ubbidiente e docile, amante della preghiera. È considerato – come in tutte le famiglie di quell’epoca – la speranza e l’onore per la continuazione della dinastia. Una famiglia, quella dei Meriggi, semplice, salda, profondamente radicata nei valori dell’onestà, della coerenza, del lavoro, della fede. Fin da piccolo Libero manifestò l’inclinazione alla vita religiosa: non si accontentava di fare il chierichetto come tanti suoi coetanei, gli piaceva giocare a fare il prete. Non di rado, infatti, i genitori lo sorprendevano sotto il portico, in fondo al cortile, a costruire altarini con delle cassette di legno sulle quali collocava qualche immagine sacra, raccolto in religioso silenzio a pregare. Al termine delle scuole elementari il piccolo Libero chiese ai genitori di poter entrare in Seminario. Superate alcune difficoltà da parte dei genitori, soprattutto del papà, all’inizio non del tutto convinti circa la scelta del figlio, il ragazzo partì per Stazzano, dove avrebbe affrontato la nuova vita fatta di impegno nello studio, di accettazione della rigida disciplina, di sacrifici e rinunce, di adattamento ai rigori invernali.

Mons. Libero Meriggi

Il giovane seminarista non deluse la scelta fatta: si rivelò lodevole negli studi che riportavano sempre ottimi risultati e zelante nelle pratiche spirituali, manifestando sempre più chiaramente la vocazione alla vita sacerdotale. Oltre a un’esemplare condotta di vita, il chierico Meriggi adottò un buon metodo quotidiano: quello di annotare puntualmente appunti desunti dalle letture e dagli studi delle varie discipline e di tenere un diario personale nel quale esprimere sentimenti, idee critiche, convinzioni ideologiche, moti dello spirito, ricordi, persone care.

Non ancora ventitreenne, il 15 luglio l945 fu ordinato sacerdote dal vescovo Mons. Egisto Domenico Melchiori nella cattedrale di Tortona. Una bellissima pagina del suo diario spirituale esprime chiaramente i sentimenti con i quali si apprestava al grande avvenimento personale.

La sua prima Messa don Libero la celebrò nella chiesa di Terrazza Coste il 16 luglio, con grande solennità poiché era la festa della Madonna del Carmine. Il 22 luglio celebrò solennemente la prima Messa nella sua chiesa parrocchiale di Stradella, attorniato dall’affetto e dalla gioia dei suoi parenti e di tutta la popolazione che, ben presto, imparò ad apprezzarlo per il suo zelo sacerdotale e l’impegno sociale svolto proprio nella sua zona.

Insegnò Religione per alcuni anni all’istituto tecnico “Faravelli” di Stradella e in altre scuole e svolse la funzione di assistente ecclesiastico delle ACLI (Associazione Cattolica Lavoratori Italiani) ben meritandosi la stima e la fiducia del mondo non facile dei lavoratori, soprattutto delle fabbriche.

Gli anni dell’immediato dopoguerra furono anni di grande e intenso impegno pastorale. Dal l945 al 1947 fu vice-parroco a Bressana Bottarone dove ebbe modo di ricostruire l’oratorio che divenne un significativo punto di riferimento per molti giovani disorientati dall’esperienza traumatica della guerra. Dal 1947 al l950 fu nominato reggente a Mondondone.

A mano a mano che progrediva nella sua maturazione di uomo e di prete, sentiva allargarsi sempre più la sua missione e il suo impegno esistenziale. Si andava delineando molto chiaramente un’autentica vocazione missionaria a 360°, che si sarebbe in seguito ulteriormente completata a livello diocesano e nazionale. In ciò don Libero era confortato e stimolato dall’amicizia fraterna che lo legava a padre Luigi Malaspina di Verretto, suo compagno di seminario ordinato sacerdote nel 1947, viceparroco a Stradella e a Volpedo, poi entrato nel 1951 nell’Istituto dei Missionari Comboniani e inviato missionario in Mozambico dove restò per quasi cinquant’anni.

Nell’orientamento a essere missionario don Libero era altrettanto attratto da un altro grande amico: padre Cesare Pesce, di Novi Ligure.

Agli inizi degli anni ’50 fu nominato Rettore della chiesa S. Sebastiano in Voghera e nel contempo redattore del settimanale diocesano Il Popolo, assistente diocesano delle ACLI e del settore uomini dell’Azione Cattolica; delegalo dell’ONARMO e fino al l957 cappellano delle Suore Agostiniane.

Dal 1953 gran parte delle sue energie e del suo impegno sacerdotale fu dedicata a un grande progetto: la costruzione, dal nulla, di una nuova parrocchia nella periferia di Voghera, nel quartiere di Pombio: una zona in via di sviluppo con la presenza di nuclei familiari trapiantati dalle valli e dalle colline limitrofe e da immigrati del Sud Italia in cerca di lavoro e sistemazione, in una realtà sociale non facile da organizzare con intelligenza di mente e di cuore. Dopo circa 3 anni di intenso lavoro e di sacrifici non comuni, nell’ottobre del l956 fu inaugurata ufficialmente la parrocchia di Gesù Divino Lavoratore (da notare la denominazione non casuale della chiesa, in linea coerente con gli intenti pastorali e sociali di don Meriggi e con la realtà territoriale).

La prima forma di organizzazione parrocchiale fu l’apertura della scuola materna “S. Rita”. Con la disponibilità di 2 suore agostiniane e con la pensione della mamma Maria, iniziò a funzionare la scuola materna che vide ben presto la frequenza di numerosi bambini del rione Pombio. Davvero una provvidenza per le famiglie della zona, soprattutto per quelle più disagiate. Il 1° maggio 1957 fu il momento della posa della prima pietra della chiesa che fu solennemente inaugurata il 28 settembre 1958. Nel l963 diede vita al Centro Missionario “S. Paolo”: una nuova realtà parrocchiale attenta alle stragrandi povertà del terzo mondo. Senza trascurare i suoi doveri di parroco, don Meriggi inizio nello stesso anno i primi viaggi missionari partendo per il Togo (Africa).

1955 – La posa della prima pietra della chiesa di Pombio a Voghera

Con la felice e provvidenziale disponibilità di padre Molteni – una figura di barnabita cui la città di Voghera deve davvero molto – allora rettore dell’Orfanotrofio cittadino, don Meriggi fece giungere dal Togo 6 giovani che nell’arco di 4 anni di frequenza della scuola agraria “Gallini”, conseguirono il diploma di perito agrario e tornarono in patria come risorse umane davvero preziose.

Alla fine degli anni ’60 il vescovo, Mons. Francesco Rossi lo chiamò a ricoprire l’incarico di direttore dell’Ufficio Missionario Diocesano. Mons. Meriggi prendeva in consegna una realtà esistente in Diocesi dagli anni ’30.

A partire dal 1972 egli doveva iniziare a scrivere un nuovo e imprevisto capitolo della sua vita. Avvalorata dall’intuizione profetica e dalla lungimiranza del nuovo vescovo di Tortona, Mons. Giovanni Canestri, l’obbedienza chiedeva a don Meriggi un grande sacrificio nell’accettare un incarico importante e molto impegnativo. Nel 1972, infatti, veniva nominato Vicario Generale oltre che confermato nell’incarico di direttore dell’Ufficio Missionario Diocesano.

La partenza per Tortona e il distacco da Pombio non furono indolore. Ma a metà degli anni ’70 l’impegno missionario fu intensificato dall’apertura al terzo mondo da parte delle Congregazioni religiose femminili diocesane. Le Suore Benedettine della Divina Provvidenza di Voghera, le Piccole Figlie del Sacro Cuore di Sale, le Piccole Suore Missionarie della Carità di Don Orione, accolsero con entusiasmo l’appello di mons. Meriggi all’apertura di nuove missioni in Africa, in India, in America Latina.

Nel 1977 all’ospedale di Varzi mancava la sua affezionatissima mamma, intanto, nella pur robusta fibra di monsignore fecero la loro comparsa i primi sintomi di malattia. Poté seguire ancora con molta dedizione, in Diocesi, la causa di beatificazione di frate Ave Maria per la quale negli anni precedenti, con la Congregazione orionina aveva fatto molto. Si sobbarcò una non piccola mole di lavoro nell’espletamento dei lavori del XVIII Sinodo diocesano indetto dal vescovo Mons. Luigi Bongianino nel l987, conclusosi con una solenne celebrazione nella Cattedrale di Tortona il 30 maggio 1993.

Sussurrando a fatica con le labbra il nome di Gesù e di Maria, mons. Meriggi spirò alle prime ore del l6 marzo 1996 dopo lunga malattia, ricoverato alla Gerlina.

1970 – Il primo viaggio in Africa

Dal Vicario per il Vicario

Domenica 21 gennaio 1979, alle 15, don Libero mi accompagnava alla chiesa parrocchiale di Baselica di Albaredo Arnaboldi per il mio ingresso come arciprete.

Avevamo pranzato dai miei genitori e poi, per non arrivare troppo presto alla parrocchiale di Baselica, avevamo fatto una sosta nella chiesa di Albaredo.

Il tutto avvolto da una nebbia quasi impenetrabile e con le strade piene di ghiaccio.

È uno dei ricordi indelebili che conservo quando penso alla figura di mons. Libero Meriggi al quale ero legato da affetto e da stima.

Tanti sacerdoti della nostra diocesi hanno ricordi molto belli di quel prete che, senza darsi tante arie, era disponibile all’incontro con coloro i quali gli chiedevano un appuntamento e aveva una sensibilità profonda per i sacerdoti che già allora vivevano da soli, magari in paesi sperduti della collina o della montagna.

Un giorno di Natale, quando era Vicario Generale – è lui che me lo ha confidato – era andato ad invitare alcuni confratelli perché potessero fare il pranzo insieme.

In questa pagina troverete il suo “curriculum” e la descrizione di ciò che ha fatto per il servizio alla nostra diocesi.

Io ho desiderato ricordare la sua umanità senza dimenticare la sua “passione” per le missioni che si esprimeva nel seguire i nostri sacerdoti e le nostre suore presenti in molte parti del mondo.

Don Libero era capace di coinvolgere le persone in questo suo “interesse”, chiamando molti laici a collaborare alle attività in favore delle missioni. Era un precursore della sensibilità missionaria del Concilio Vaticano II e un entusiasta assertore delle prospettive nuove che il Concilio aveva indicato.

Lo ricordiamo con grande affetto e sincera gratitudine.

Mons. Mario Bonati

Vicario generale

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