«Aziende in sofferenza. Il mercato ha paura»

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Qual è la situazione delle industrie nelle nostre province dopo la chiusura forzata? Il punto di Marco Salvadeo, presidente della Zona Oltrepò di Assolombarda

La produzione industriale in marzo e aprile registra in Italia una perdita di oltre il 50%. Gli effetti delle misure restrittive introdotte per contenere la diffusione del Covid-19 hanno generato una caduta dell’attività senza precedenti nelle serie storiche disponibili. Il calo del Pil atteso per il 2020 è del 6%. È quanto afferma il Centro Studi di Confindustria che rileva una diminuzione della produzione industriale del 26,1% in aprile su marzo, quando è arretrata del 25,4% su febbraio.

Sempre secondo Confindustria, la fine del lockdown non genererà un veloce recupero perché le famiglie continueranno a essere prudenti e a risparmiare anche a scopo precauzionale, le imprese dovranno smaltire le scorte che si sono accumulate negli ultimi mesi mentre la domanda estera risentirà della contrazione corale dell’attività in Europa.

Il secondo trimestre, per queste ragioni, mostrerà una dinamica di PIL e produzione molto più negativa rispetto a quella osservata nel primo. Le prospettive sono incerte e legate all’evoluzione della crisi sanitaria.

Questo vale anche per le nostre province. Ne abbiamo parlato con Marco Salvadeo, presidente della Zona Oltrepò di Assolombarda.

Salvadeo, dopo il lockdown molte imprese hanno ripreso. Le riaperture di maggio come sono andate?

«Sono numerose le aziende che, sul nostro territorio, durante il lockdown hanno dovuto interrompere la loro attività. Con maggio le aziende hanno avuto la possibilità di riprendere le produzioni. Ma c’è ancora grande sofferenza, gli andamenti sono a macchia di leopardo, anche perché a mancare è il sostegno della domanda. Il mercato resta asfittico, impaurito, col freno tirato».

Confindustria nazionale parla di un crollo della produzione industriale che si avvicina al 50% in marzo e aprile. Questo vale anche per la Lombardia e per la provincia di Pavia?

«La nostra Regione, una delle più industrializzate d’Europa, ha sofferto come le altre regioni italiane e così la nostra provincia. A livello del pavese e dell’Oltrepò, la forza del nostro territorio è quella di avere un panel di aziende eterogenee che appartengono a filiere trainanti: l’agroalimentare e il sanitario».

Quali settori sono maggiormente in sofferenza? Le piccole e medie imprese sono quelle che hanno patito di più?

«Sicuramente i terzisti e il settore dell’automotive e dell’oil&gas sono quelli che in questo periodo stanno più pagando le difficoltà del momento. Le aziende che esportano hanno trovato dei blocchi fisici che non hanno permesso di portare i loro prodotti nelle sedi estere. Alcune piccole imprese che nel nostro territorio fanno prodotti di nicchia, soprattutto, come detto, nell’ambito sanitario e alimentare, stanno avendo una crescita in controtendenza. Anche il settore della logistica e del delivery sta crescendo molto».

Cosa la preoccupa?

«Mi preoccupa di più il prossimo autunno quando le aziende dovranno lavorare gli ordini della primavera/estate che purtroppo non sono arrivati o solo parzialmente per i motivi della chiusura».

C’è poi la questione della ricaduta della crisi sui lavoratori e sulle famiglie con un grave problema occupazionale, con tanti che si sono ritrovati senza lavoro.

«Il problema della crisi sull’occupazione c’è e ne siamo consapevoli, ma non dobbiamo far ricadere la responsabilità e la risoluzione del problema sempre sulle spalle degli imprenditori. Noi ci mettiamo a disposizione e facciamo di tutto per cercare di tutelare il lavoro delle nostre aziende e abbiamo investito molto per rendere i posti di lavoro luoghi sicuri; ora ci vuole un piano di rilancio, coraggioso, che deve dare una spinta positiva al nostro territorio e che permetta di ripensare il lavoro, declinato secondo nuove polarità: telelavoro e digitale, economia circolare e sostenibilità, salute e salubrità anche alimentare e del territorio».

I vari provvedimenti governativi “di rilancio” bastano a far ripartire il comparto industriale e l’economia del Paese? Sono sufficienti interventi quali i vari bonus o servirebbero azioni più strutturali, magari sulla tassazione?

«Abbiamo bisogno di ancora più spinta e di una politica economica più lineare che venga condivisa con l’Europa per avere un aiuto concreto per il rilancio. Ci sono molti strumenti per i quali abbiamo delle trattative in corso, ma non basta il tentativo di “vedere il bicchiere mezzo pieno”. Dobbiamo impostare, governare e disegnare una reazione massiccia e coraggiosa».

Cosa c’è di buono e cosa manca nell’azione del Governo centrale? Quali, a vostro avviso, le priorità? Cosa si potrebbe ancora fare?

«Gli interventi del Governo sono importanti per dimensioni quantitative, ma si stanno scontando ritardi e difficoltà burocratiche che ne limitano l’impatto. Siamo comunque ancora in una logica emergenziale, di contenimento del danno. Le misure sull’Irap e sui pagamenti della Pubblica Amministrazione vanno nella direzione giusta, ma serve un vero e proprio piano di rilancio, che punti sull’impresa e sugli investimenti: infrastrutture, innovazione, Industria 4.0»

E il mercato estero come va?

«Il mercato estero non ha subito un lockdown forte e generalizzato come il nostro. Molti competitor e aziende di settori per noi vitali hanno continuato a lavorare, ampliando quindi la loro rete commerciale e di distribuzione mentre noi eravamo fermi. Ma la ripresa resta fiacca per tutti, con la domanda ferma e i consumi che arrancano».

Quando si potrà effettivamente parlare di ripresa?

«Credo che non sarà una ripresa veloce e che comunque per renderla strutturale ci vorranno degli anni. Noi comunque ogni giorno stiamo andando nelle nostre aziende con positività e con la stessa voglia di metterci in gioco come sempre abbiamo fatto».

Marco Rezzani

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