Non puntare il dito

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Di Carlo Zeme

Devo ancora abituarmi al cambio dell’ora, al buio che arriva presto: quan- do torno dal lavoro sembra che la notte sia già scesa. Spesso Margherita è in postazione da gioco in mezzo alla sala, tra libretti, pastelli e pupazzi. A volte, però, capita di raggiungere il resto della famiglia in giro per la città e se la mamma ha bisogno di fare una commissione in solitaria, io prendo per mano Margherita e insieme facciamo le “vasche” in centro, come fossimo dentro a un weekend nel bel mezzo della settimana. Passiamo in rassegna tutte le vetrine. Si parte dalla gelateria e da una richiesta di coppa al fiordilatte che in realtà convince poco entram- bi. Poi incontriamo un cagnolino al guinzaglio oppure un bimbo in carrozzina e Mar- gherita lo osserva senza fiatare come farebbe un gigante con un abitante di Lilliput. Poco dopo ecco la vetrina della gioielleria: mi accorgo di non averne mai realmente osservata una mentre Margherita indica delle statuine in ceramica a forma di farfalla, punta con il dito l’obiettivo e io devo parare il piccolo indice prima che si trasformi in un alone sul vetro. Passiamo oltre e siamo davanti alla vetrina del fiorista che espone le zucche giganti e allora si sente esclamare: «Piccabù». Così le chiamano all’asilo storpiando il termine inglese “pumpkin”. Le luci della sera con le luminarie di Natale appese ma ancora spente ci scortano fino alla vetrina che più ci piace: i giocattoli. Parlo al plurale perché anche io mi perderei dentro a tutti quei colori. È il momento più difficile perché in questo caso Margherita è ben più risoluta di prima nel chiedere qualcosa da portare a casa: le bolle di sapone, la pasta modellabile, una bambola. La sfida ogni volta è dire un no accompa- gnato da un perché; provare a spiegare che a volte bisogna saper aspettare un momento speciale. Il dito indice stavolta impatta con il vetro e lascia l’impronta. La negoziazione per fortuna dura pochi secondi perché di scatto si gira, mi guarda preoccupata ed esclama: «Papà: pipì»! Il tormentone ci riporta alla realtà e corriamo verso casa.

carlo.zeme [at] gmail.com

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