Vittoria Pinto di Barre, una figlia dimenticata

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Nel 1801 la fortezza ideata da Bernardino Pinto di Barre fu distrutta per ordine di Napoleone. Sono passati 220 anni ma un documento rinnova la memoria dell’insigne ingegnere: Vittoria, tortonese di adozione, caduta nell’oblio degli storici

A volte un semplice documento burocratico porta a chi studia le vicende di una città a evocare eventi e personaggi che a buon diritto sono entrati nella storia della città stessa.

Qualche anno or sono durante una delle mie solite «immersioni nel passato» la mia attenzione è stata attratta dall’atto di morte di «Donna Vittoria Pinto». Continuando a leggere il documento accerto che era nata a Torino figlia «del fu Bernardino Pinto di Barre e Massone e della fu Marianna Dunan».

Donna Vittoria abitava nella parrocchia di S. Maria Canale ed era coniugata, in terze nozze, con «il sig. Giovanni Battista Ferrari». Due i precedenti mariti che l’avevano lasciata vedova: il cav. Majani e il cav. Melchiodi.

Il decesso, «d’età d’anni ottanta», era avvenuto il 3 marzo 1838.

Il pensiero è ovviamente andato a quel Bernardino Pinto (*1704 – + 1788) che aveva progettato e realizzato il forte di Tortona, un vero gioiello d’arte militare, che il Bonaparte nella primavera del 1801 fece distruggere.

Per diversi anni, sicuramente dal 1738 al 1744, l’ing. Pinto, proprio per i motivi legati al suo incarico, aveva eletto la sua residenza in Tortona dove erano nati quattro figli. Tre erano nati in precedenza a Bianzé, mentre per altri cinque è documentata la nascita a Torino. Di un figlio non si conosce nemmeno il nome; si sa solo che era poi divenuto «canonico a Varsavia».

Una permanenza, quella tortonese, tutto sommato breve. Il progetto era ad uno stadio avanzato, ma quelli che mancavano erano i fondi. In una lettera inviata il 22 marzo 1750 da Susa dove si trovava per motivi di lavoro scriveva al vescovo di Tortona, mons. Andujar, che riguardo alla fortezza di Tortona «non vi vogliono per adesso farvi gran cosa a motivo, credo per essere basse le finanze».

Ma torniamo alle vicende di famiglia fornendo il quadro completo della numerosa prole, frutto di due ricerche, una effettuata da chi scrive con Giuseppe Bonavoglia l’altra da Stefano Negri e Giovanni Rosso, studi entrambi pubblicati sul Bollettino Storico Vercellese rispettivamente nel 1994 e 1998 (i nati a Tortona sono in corsivo):

Ursula Maria, 1723;

Giuseppe Antonio, 1724;

Maria Margherita Francesca, 1727;

Felicita Teodora Petronilla, 5 dicembre 1738;

Giuseppe Lorenzo Giacinto, 12 novembre 1739;

Barbara Teresa, 16 gennaio 1743;

Giuseppe Ignazio Gaetano, 13 gennaio 1744;

…. 1745? [poi canonico a Varsavia];

Pietro Giovanni Battista, 1746;

Francesco Maria, 1748;

Carlo Felice Eustachio, 1752;

Pietro Luigi, 1755;

Felice Lorenzo Romano, 1759.

Nell’elenco manca Vittoria, residente e deceduta a Tortona il cui terzo marito, tortonese, apparteneva alla nobiltà cittadina, nato nella notte tra il 14 e il 15 maggio 1766 da Don Giacomo Antonio e Donna Antonia Piantanida abitanti nella parrocchia di San Michele.

Un matrimonio, quello tra Vittoria e Giovanni Battista, avvenuto già in là con gli anni e con una bella differenza di età: nello Status animarum della parrocchia di Santa Maria Canale del 1830 il Ferrari ha 61 anni, mentre donna Vittoria 74 e risiedono in una casa sita nell’isola «di San Pietro».

Sulla base dei vari documenti trovati si può far risalire al 1757 l’anno di nascita di Vittoria, quindi tra i due fratelli Pietro Luigi e Felice Romano. E nell’atto di morte si legge chiaramente che era nata a Torino.

La sua salma venne inumata nel cimitero cittadino il 4 marzo.

Ben diverse le vicende di quella del padre che inizialmente era stato sepolto nella chiesa del castello di Tortona, posta al centro del forte e dedicata al Beato Amedeo di Savoia. Dopo la distruzione del forte i suoi resti vennero sepolti in una fossa posta dietro l’abside di Santa Maria Canale, senza che nel Liber mortuorum venisse annotato alcunché. Sunt lacrimae rerum…

(Sento il dovere di ringraziare l’amico Emanuele Zecchin per la preziosa collaborazione, n.d.a.).

Giuseppe Decarlini

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