Pietro Bisio: la sua forza è non aver mai scisso arte e vita, segno e pensiero

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Abbiamo scritto tanto, in tanti, sull’arte di Pietro Bisio. Da quando Lucio Fontana gli aveva acquistato un disegno esposto alla Galleria Spotorno nel ’57, gli anni in cui le giornate milanesi erano divise tra Brera, a lezione da Aldo Carpi – maestro di pittura e di vita –, la trattoria delle sorelle Pirovini e il palco della Scala a fare la comparsa; da quando il critico Raffaellino Degrada aveva intuito la forza del segno grafico di questo giovane estroverso e ispirato, che veniva dalle basse pianure lungo il Po e che aveva un mondo di virtù antiche e di precario futuro da rappresentare; da quando la sua pittura è divenuta il canto urlato di un cosmo in drammatico e irreversibile cambiamento, senza scivolare mai nel melodramma della retorica e del rimpianto; da quando la felice stagione del Realismo critico esistenziale ha raccordato i suoi temi e i suoi modi, così ricettivi di altra cultura pittorica come quella dell’espressionismo nordico o nordamericano, a quelli degli amici artisti Piero Leddi, Michele Mainoli, Giancarlo Marchese, conterranei e vicini soprattutto di una geografia della visione; da quando il suo linguaggio pittorico si è increspato in una somma di cose: colore+colore, colore+oggetti, colore+parola, sovrapponendo sulla tela materiali eterogenei, colature, scritte e sconvolgendo i piani di lettura.

Si può continuare a dire l’ultima arte di Pietro Bisio, che dipinge ininterrottamente da oltre sette decenni e ancora oggi lavora a grandi tele, poetiche direbbe lui, dove il colore non è più dosato dal pennello ma da altri strumenti che vengono avvertiti come segno di modernità. Ma si deve continuare a rimarcare anche questo: la sua esigenza di esprimere, di lasciarsi ispirare dalla realtà, unico obiettivo della sua arte da sempre, e la perseverata intenzione di dare voce pittorica alla complessità dell’esistenza.

Sette decenni di arte che tracciano anche la nostra vita di appassionati, collezionisti, amici, dove le mense desolate sono quelle della cascina la Prevostura, dove Tugnei sta seduto a fumare il sigaro, mamma Severina tiene in braccio Elena e Rina legge. Dove il vigneto a Cadelazzi diventa un groviglio di detriti del consumismo e la fornace ormai spenta troneggia sinistra con la ciminiera all’orizzonte, mentre il Nesi ritorna dalla campagna con i suoi attrezzi sulla spalla e Carlin Bisio siede accanto alla stufa. Potremmo senza difficoltà segnare una geografia precisa di luoghi e di persone della sua esistenza, che alle pareti delle nostre case diventano interni esistenziali, paesaggi devastati dalle cattedrali del progresso, mondi oltre le finestre, figure monumentali sul piano fisico e morale, mense desolate e crocifissioni laiche, pensieri a forma di colori nel giardino selvaggio, muri di una città vicina e alci ferite del profondo nord, paesaggi assoluti o deturpati.

La forza di Pietro Bisio artista è questa: la pittura definisce la sua esperienza e la proietta in un sistema complesso che diviene paradigma di lettura del reale sempre attento e ricettivo nei confronti dei linguaggi più innovativi.

La forza di Pietro Bisio uomo è questa: non aver mai scisso arte e vita in un’osmosi continua tra segno e pensiero, tra scelte professionali ed esistenziali. Arricchendo entrambe di rara generosità.

Ora, il Maestro compie novant’anni, lui nato a Gerola il 28 marzo 1932 come si legge spesso sulle sue tele. «C’est la vie!» direbbe, ma non è un momento di consuntivo. Gli auguriamo un Grande viaggio ancora molto lungo, di energie vitali e di pittura; lo stesso Grande viaggio di quei due – uomo e donna – in una lito del 1970, i volti racchiusi dentro una linea circolare oltre la quale proiettano lo sguardo: una storia futura ancora da dipingere che continui ad accompagnare anche la nostra.

Maestro, «champagne»!

m.b.

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