SAN MARZIANO: il fascino delle nostre radici

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6 Marzo: in occasione della festa del patrono della Diocesi facciamo il punto sulla ricerca storica

Nel suo decennale studio delle fonti, relative alla Chiesa milanese, Paolo Tomea, docente di Agiografia nella Facoltà di Lettere e filosofia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, si imbatte nella “Vita Sancti Innocentii” che narra le vicende del vescovo tortonese Sant’Innocenzo, tra cui il ritrovamento del corpo di San Marziano. Ne tratta con competenza in due sue opere: “Tradizione apostolica e coscienza cittadina a Milano nel medioevo” (1993) e “Le due vite del vescovo Innocenzo di Tortona” (2013) che purtroppo hanno avuto poca o nessuna eco nella nostra città, dove si continua a rimestare la disputa di inizio novecento – per alcuni tratti anche sterile – tra il gesuita Felice Savio da una parte e gli storici tortonesi dall’altra sulle origini della Chiesa di Tortona. Gli studi di Tomea, insieme agli studi locali in occasione del 1700° editto di Milano che confluirono nella raccolta “Marziano e Innocenzo”, a lato dell’interessantissima mostra sulle origini della Chiesa tortonese a Palazzo Guidobono nel 2013, portano a considerare definitivamente superate le posizioni di un secolo fa. Va ripreso invece un nuovo sereno studio delle fonti nel mutato contesto culturale.

La “Vita Sancti Innocentii”

La “Vita et transitus Sancti Innocentii episopi et inventio corporis Sancti Martiani martyris” è uno scritto molto conosciuto, pubblicato nel 1478 nel “Sanctuarium” di Bonino Mombrizio e conservato in almeno sei manoscritti, che si collocano tra il X e il XV secolo, in due differenti versioni, indicate dagli storici con le sigle BHL4281 – nota anche come “Acta Sancti Innocentii” – e BHL4281/c, dove la seconda è una riscrittura successiva della prima. Entrambe le versioni contengono l’“Inventio Sancti Martiani” cioè il racconto del ritrovamento del corpo di San Marziano. Paolo Tomea afferma che, nonostante i diversi studi fatti a partire dalla fine ottocento, manca ancora un’indagine in ordine alle coordinate fondamentali di questo documento. Ne fissa così i termini di stesura tra il primo quarto del X secolo, epoca cui risale il manoscritto conservato nell’abbazia di San Gallo in Svizzera, e il secolo VII, probabile data di composizione del testo originale. Procede quindi all’analisi critica del testo.

Il documento BHL4281/c

Il codice di San Gallo, che è il più antico testimone della “Vita Innocentii”, riporta il testo BHL4281/c cioè quello più tardivo, riscritto sulla base della redazione più antica. Da questa semplice analisi del documento Tomea dimostra l’inconsistenza della cosiddetta “tradizione ottoniana”, elaborata a inizio novecento, secondo la quale i testi relativi alle vicende dei vescovi tortonesi Marziano e Innocenzo videro la luce nel X-XI secolo nello scriptorium del grande vescovo Giselprando, che resse la sede dertonina dal 945 al 967 e fu stimato consigliere dei Re Ugo di Provenza e Lotario II e dell’imperatore Ottone I. Infatti ci troviamo davanti a un codice che contiene una “Vita Innocentii” scritta precedentemente la nomina di Giselprando a vescovo di Tortona; un codice che inoltre riporta la versione più recente della “Vita” e che, di conseguenza, dimostra l’esistenza di una redazione precedente di cui è debitrice, da retrodatarsi ulteriormente.

La dedicazione al vescovo Giuseppe

Dall’analisi del testo Tomea ricava altre interessanti considerazioni. La “Vita” contenuta nel codice di San Gallo è una copia fatta dai monaci dell’abbazia su un testo precedente, che il nostro autore data all’VIII-IX secolo. La datazione viene ricavata dall’analisi del testo, nel cui prologo si afferma che l’opera è volta ad un miglioramento formale del dettato della “Vita” precedente. Nel prologo compare anche una dedica che l’autore rivolge a un “venerabilis Pater Joseph”, più oltre indicato chiaramente come vescovo.

La vita di Sant’Innocenzo fu quindi scritta per un vescovo di nome Giuseppe e con un intento redazionale migliorativo. Qui si aprono due possibilità d’identificazione di un vescovo con quel nome tra quelli dell’area nord occidentale d’Italia tra il VII secolo e la fine del IX. Uno è Giuseppe vescovo di Ivrea dall’844 al 853, abate di Novalesa e arcicappellano imperiale, oltre che messo di Ludovico il Pio nell’829. Il secondo invece esiste nella successione dei vescovi tortonesi ed è storicamente attestato negli Atti del Concilio Romano del 769, convocato da Papa Stefano III. Fu uno dei pochi vescovi del regno longobardo presente, mentre fu molto numerosa la compagine dei vescovi franchi. Apertosi ufficialmente il 12 aprile del 769 presso la basilica del Laterano, il concilio, che dato l’alto numero di partecipanti può essere considerato come una delle più rilevanti assemblee conciliari italiane dell’VIII secolo, ratificò definitivamente l’elezione di Stefano III e condannò le violazioni canoniche dell’antipapa Costantino. Siccome Stefano III aveva inviato oltralpe il secundicerius Sergio per chiedere a re Pipino l’invio di una qualificata rappresentanza dell’episcopato franco, la presenza del vescovo tortonese Giuseppe, suddito longobardo, è un elemento molto importante per comprendere la secolare politica religiosa romana della sede tortonese e di conseguenza, nel secolo VIII, filo franca.

Quale datazione per la “Vita” e l’“Inventio”?

Paolo Tomea nel suo ultimo lavoro, “Le due vite del vescovo Innocenzo di Tortona”, non opta per nessuna delle due ipotesi circa il vescovo Giuseppe, lasciando a successivi studi del testo questa attribuzione. Tuttavia pubblica per la prima volta nella storia un’edizione critica del testo, evidenziando e commentando le differenze tra BHL4281 e BHL4281/c.

Alcune conclusioni sono tuttavia immediati corollari. Se BHL4281/c è stato redatto nella metà del IX secolo per Giuseppe vescovo di Ivrea oppure nella metà dell’VIII per Giuseppe vescovo di Tortona, partendo da un testo precedente che noi conosciamo come BHL4281, occorre affermare l’esistenza di quest’ultimo precedentemente, forse già nel secolo VI-VII. La forbice temporale con quanto la tradizione tortonese ha tramandato sugli “Acta”, cioè che fossero stati scritti da Celso, diacono di Innocenzo, a inizio secolo V, si restringe sempre più.

Seppur la “Vita Sancti Innocentii”, che comprende sempre il racconto della “Inventio corporis Sancti Martiani”, sia giunta a noi in manoscritti ascrivibili tra il X e il XVI secolo, ha una data di composizione molto più antica nella sua prima stesura, nota anche come “Acta”, ascrivibile per lo meno al secolo VI-VII. Il testo fu a sua volta la fonte a cui un anonimo autore si è ispirato per scrivere una più articolata “Vita” di Sant’Innocenzo negli anni precedenti il 769, a noi giunta attraverso il manoscritto di San Gallo, databile al primo quarto del secolo X. In ulteriori studi – sui quali è utile tornare in un prossimo articolo – Paolo Tomea dimostra anche che gli “Acta Sancti Innocentii” sono una fonte a cui attinse l’anonimo autore del “Libellus de situ civitatis Mediolani”, testo con cui si vorrebbe affermare l’origine apostolica della Chiesa ambrosiana, attraverso l’apostolo Barnaba.

Maurizio Ceriani

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