Prevenzione del suicidio: una legge che difende la vita

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Il primo firmatario della proposta depositata in Parlamento è l’onorevole 5 Stelle Cristian Romaniello, novese che vive a Voghera. Le sue idee in materia stanno incontrando il favore della Chiesa

Sono dati allarmanti quelli che riguardano il numero di suicidi nel nostro Paese. In un anno in Italia sono 4.000 le persone che si tolgono la vita.

In Parlamento è depositata una proposta di legge per la “prevenzione del suicidio e degli atti di autolesionismo” il cui primo firmatario è l’onorevole Cristian Romaniello.

Cristian Romaniello

Trentadue anni, originario di Novi Ligure, residente a Voghera dove vive con Sara e i figli Lorenzo Massimo e Sofia Ludovica, eletto alla Camera dei deputati nelle file del Movimento 5 Stelle, è membro della Commissione Affari esteri. È psicologo con alle spalle un’esperienza di ricercatore scientifico nel campo della psicologia cognitiva e delle neuroscienze presso l’Università di Pavia.

Con lui abbiamo parlato a tutto campo della proposta di legge e di un tema tanto importante e delicato come quello del suicidio.

Onorevole Romaniello, perché una proposta di legge per la prevenzione del suicidio e degli atti di autolesionismo? Qual è la situazione nel nostro Paese?

«Chiunque abbia a cuore la vita dovrebbe porre attenzione al tema che la mia proposta di legge affronta. In Italia all’anno muoiono 4.000 persone di suicidio. E sono solo i conclamati. In media possiamo dire che sono circa 50 i morti per provincia ogni anno.

Ciascuno di noi quindi si deve confrontare con questo problema.

Tra l’altro, sebbene non esista ancora un osservatorio, un dato che preoccupa e che è di forte attualità in questi mesi è l’aumento del numero di suicidi durante e post epidemia».

Ci sono differenze di età riguardo l’incidenza del fenomeno?

«Il suicidio è la seconda causa di morte negli uomini tra i 15 e i 29 anni, dopo gli incidenti stradali e al pari dei tumori. Per la donna è la terza causa di morte e questo perché tendenzialmente le donne scelgono modalità meno letali. Gli ultra sessantacinquenni tentano meno frequentemente di togliersi la vita rispetto ai giovani, ma i loro tentativi hanno più probabilità di avere esito fatale».

Quali sono i fattori di rischio?

«Per assurdo la geografia è un fattore di rischio: al Nord si muore il doppio che al Sud. In particolare il Nord-Est presenta i livelli di mortalità più elevati. A mio avviso questi dati trovano evidenza nel fatto che al Sud c’è una vita di comunità più diffusa e c’è maggiore esigenza di essere comunità.

Da non dimenticare inoltre che il suicidio è un fenomeno a spiccata stagionalità con una curva crescente nella prima metà dell’anno e decrescente nel secondo semestre.

Tra i vari fattori di rischio, il genere, l’orientamento sessuale, la presenza di patologie connesse alla salute mentale, l’essere affetti da malattie gravi o da dolore cronico, l’errato stile di vita e una vita professionale e sociale caratterizzata da incertezza e insoddisfazione, le difficoltà economiche. Una delle variabili più evidenti risulta essere un passato caratterizzato da precedenti tentativi di suicidio o da violenza in famiglia, tra cui l’abuso fisico e sessuale.

Tra gli altri fattori, mi preme spendere una parola per il possesso di armi da fuoco in casa che rappresentano il metodo utilizzato in oltre la metà dei suicidi. Mi sento di affermare con forza che un’arma in casa non fa rima con sicurezza e sento il dovere di dire a un genitore che detiene armi in casa che se lo fa per la sicurezza della sua famiglia, lo potrebbe essere anche per la sua insicurezza».

Bullismo e cyber bullismo sono fenomeni pericolosi.

«Possono portare al suicidio. In America un bambino di otto anni si è impiccato in bagno perché bullizzato. Un’indagine del 2017 ha posto in evidenza che il 46% degli adolescenti che subisce atti di bullismo o di cyber bullismo prende in considerazione l’ipotesi del suicidio. Tra gli interventi che la proposta di legge mette in campo vi è anche la realizzazione di “peer support programs”, cioè programmi per assicurare il sostegno tra coetanei. Risulta fondamentale la formazione di insegnanti e famiglie ed è necessario dire ai ragazzi che un comportamento da bullo può portare alla morte di chi si ha davanti».

Durante una sua conferenza sul tema, ha parlato della correlazione tra obbedienza e suicidio. Ce lo spiega brevemente?

«Volevo sottolineare l’evidenza che nessuno di noi ha piena potestà su se stesso. Il tema l’ha studiato a fondo lo psicologo statunitense Stanley Milgran in un suo noto esperimento di psicologia sociale compiuto nel 1961 il cui obiettivo era lo studio del comportamento di soggetti ai quali un’autorità ordinava di eseguire azioni in conflitto con i valori etici e morali. Noi sappiamo che esistono diversi casi in cui l’obbedienza a una autorità ha portato a suicidi di massa.

Pensiamo di essere padroni di noi stessi, ma spesso non lo siamo. Ed è qui che forte deve essere il sostegno dello Stato».

Veniamo alla proposta di legge. Quali sono gli interventi più significativi che contiene?

«È una proposta di legge che si basa sulla prevenzione, sugli interventi, sul controllo dell’effetto contagio, sull’individuazione del sommerso, sulla ricerca scientifica, con particolare riguardo per determinati settori e per determinate fasce d’età.

Tra le misure che la legge prevede, grande importanza riveste l’istituzione di un numero verde dedicato all’emergenza suicidio, finalizzato a fornire un servizio di prima assistenza psicologica da parte di personale specializzato, nonché a comunicare, nei casi di urgenza, al sistema sanitario di emergenza la necessità di un intervento immediato.

C’è poi la creazione di un codice identificativo al Pronto soccorso con il quale si impone al personale sanitario di indagare se si tratta di un possibile tentativo di suicidio.

Sono previsti inoltre interventi di “post evention”, ossia azioni di supporto, dopo un suicidio, della famiglia, degli amici, dei conoscenti come pure di ogni altro soggetto che sia venuto a conoscenza dell’evento e che, a causa di esso, si trovi in uno stato di sofferenza tale da far prevedere un aumento del rischio».

E in tema di prevenzione?

«La proposta di legge prevede la formazione degli operatori, la creazione di un protocollo dei segni e dei sintomi, l’inserimento dei soggetti a rischio nel contesto sociale e lavorativo, l’informazione circa la detenzione di armi in casa, la ricerca scientifica».

Che ruolo può giocare l’informazione?

«Un ruolo fondamentale per prevenire. Un’informazione che però deve essere corretta. Quando si dà informazione di un suicidio, si nota immediatamente dopo un aumento dei casi. Non basta dire che una persona si è tolta la vita. Dobbiamo dire che esistono forme di sostegno, che lo Stato non abbandona i cittadini, soprattutto che esiste un’altra via: quella di scegliere la vita. Dobbiamo dirlo ai giovani, dire loro che le scelte ricadono anche sugli altri e in particolare sulle persone alle quali vogliono bene».

Sarebbe un bel segnale al Paese se di fronte a una proposta di legge così importante tutto il Parlamento si ritrovasse unito.

«Io sono certo che non ci saranno problemi e che tutti i gruppi parlamentari sosterranno la legge. Tuttavia rivolgo un sentito invito ai colleghi delle opposizioni a sottoscrivere la proposta».

E la Chiesa l’ha sentita?

«Nei giorni scorsi ho incontrato il vescovo Mons. Vittorio Viola al quale ho presentato la proposta di legge. Lo ringrazio ancora per la grande attenzione, per la sua profonda umanità.

La Chiesa cattolica sta dimostrando un’attenzione tutta particolare alla mia iniziativa, evidenziando una volta di più tutta la sua passione per la vita. Questa legge è per la vita e si rivolge proprio alle persone bisognose e che ogni giorno soffrono».

Una legge per dire a chi vive situazioni di sofferenza estrema: «Restiamo insieme». E anche: «C’è ancora tanto davanti a te». Sono sue parole. È quel tanto che va svelato.

«Io sono prima di tutto uno psicologo e quella frase l’ho detta perché penso che la costituzione dell’essere umano è quella di essere oltre. L’uomo è il suo progetto. È quando il tempo tra l’adesso e la morte non ha più significato che si può arrivare a farla finita. Noi dobbiamo aggiungere tanti “qualcosa” per aiutare chi sta vivendo situazioni di grande sofferenza a continuare a rimanere tra noi».

Marco Rezzani

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