«Non dimenticarti mai di noi!»

Visualizzazioni: 21

I funerali del Papa. Il mondo ha detto «grazie» al Pontefice, dagli ultimi ai potenti della terra. Tutti si sono fermati per tributargli l’ultimo saluto, compresi i 287 adolescenti della nostra Diocesi a Roma per il Giubileo

LA NOSTRA INVIATA A ROMA DANIELA CATALANO

Aprile doveva essere un mese da ricordare per la canonizzazione di Carlo Acutis che sarebbe avvenuta durante il Giubileo degli adolescenti, al quale ho deciso di partecipare, unendomi ai quasi 300 ragazzi della Diocesi di Tortona. Lo ricorderò, invece, per un’altra data che è diventata storia. Il 21 aprile, Lunedì dell’Angelo, muore Papa Francesco. La notizia fa il giro del mondo e lascia tutti attoniti. Dopo la sorpresa dei primi momenti, don Cristiano Orezzi e la Pastorale Giovanile diocesana vengono informati che Acutis sarà canonizzato più avanti ma il Giubileo si farà e, come stabilito, il 24 aprile il gruppo parte per Roma. La città eterna ci accoglie nel suo grande abbraccio, sotto un cielo primaverile e con i colori unici dei suoi tramonti. Questa volta, però, non c’è tempo per perdersi nella millenaria bellezza.

Appena arrivati, il primo pensiero corre al Papa, che è stato ormai trasportato nella basilica di San Pietro per ricevere il saluto del “suo” popolo. Anche noi vogliamo rendergli omaggio e, depositati in fretta i bagagli, ci muoviamo verso il Vaticano. Ad attenderci troviamo altre centinaia di persone, in fila ordinata, che aspettano di varcare la Porta Santa e raggiungere il centro della chiesa, dove è stato collocato il semplice feretro. Non è permesso fermarsi davanti alla bara, ma nell’attimo in cui, passando, vediamo Francesco rivestito con i paramenti rossi, è impossibile non commuoversi, recitando una preghiera in suffragio e dicendogli un ultimo “grazie” e un’ultima “buonasera”. L’immagine dello Spirito Santo veglia su di noi che attraversiamo la basilica, mentre il silenzio e il raccoglimento accompagnano i nostri passi. All’uscita lo sguardo va alla Loggia delle Benedizioni, da cui il Papa si è affacciato l’ultima volta la Domenica di Pasqua. L’emozione personale del momento è poi diventata quella condivisa con il mondo nella mattinata di sabato, durante i funerali del Pontefice.

Alle prime luci dell’alba, insieme ad altre migliaia di fedeli, percorriamo le vie di una Roma deserta e silenziosa per raggiungere San Pietro. Mentre i potenti della terra sono ancora nelle loro di Francesco si muove per trovare un posto all’ombra delle colonne del Bernini. Nuvole bianche si rincorrono nell’azzurro che avvolge il cupolone. I funerali iniziano alle 10 ma già alle 8 la piazza è piena. Si parla di 250.000 persone che si distribuiscono anche lungo via della Conciliazione. Ci sono intere famiglie con i bambini piccoli che ancora dormono, ragazzi con le facce assonnate che fanno una frugale colazione e giovani donne che finiscono di truccarsi. E, poi, anziani che cercano una posizione relativamente comoda, adulti che si coprono la testa per difendersi dal sole caldo, mentre arrivano centinaia, forse migliaia di suore, in rappresentanza di congregazioni finora a me sconosciute. I sacerdoti hanno un loro spazio riservato e creano una macchia bianca che si distingue chiaramente. Le lingue parlate sono davvero tante ed è come se la Babele biblica, per un attimo, fosse diventata reale. Con la differenza, però, che non ci sono incomprensioni ma sorrisi e cenni di intesa, mentre si attende l’inizio della celebrazione e sul sagrato prendono posto cardinali, patriarchi e vescovi, tra cui il nostro Mons. Guido Marini e l’emerito Mons. Vittorio Viola. Di fronte siedono i capi di Stato, principi, ministri, delegazioni di 166 Stati e organismi internazionali, con Argentina e Italia, in prima fila. Nella lunga attesa, parlano tra loro e si stringono le mani. Anche nella piazza i presenti condividono aneddoti e ricordi personali legati a Francesco e, soprattutto, da molti si sente pronunciare la parola “grazie”. Quella parola, che il Pontefice amava ripetere, questa volta è rivolta a lui che ha saputo dare tanto alla sua gente. Proprio come ha detto il decano del collegio cardinalizio, Giovanni Battista Re, nella sua vibrante omelia.

Quando la bara esce dalla basilica, portata a spalla dai sediari pontifici, cala il silenzio. Per l’ultima volta Francesco è al centro di quella piazza che tanto ha amato. Il cardinale Re, con la sua potente voce, dall’inconfondibile accento bresciano, nella lingua universale della Chiesa, inizia il rito funebre. La prima lettura, tratta dagli Atti degli apostoli, riecheggia le parole di Bergoglio: «Dio non fa preferenze di persone, ma accoglie chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque nazione appartenga». Nel Vangelo si legge che Gesù affida a Pietro il compito di “pascere” le proprie pecore, il popolo di Dio. Quello che ha fatto il Papa argentino per 12 anni. Il cardinale decano ripercorre il magistero di Bergoglio e, interrotto più volte da calorosi applausi, ricorda i tanti appelli disattesi, le tante ingiustizie alle quali la politica non ha saputo porre fine. Richiama la cultura dell’incontro e della solidarietà contro quella che Bergoglio definiva “cultura dello scarto”, ricordando il suo primo viaggio a Lampedusa per denunciare la tragedia dei migranti morti in mare e la Messa celebrata al confine tra Messico e Stati Uniti e conferma che il prossimo conclave non potrà fare a meno di confrontarsi con la figura di Francesco. Perché, afferma il porporato, «il plebiscito di manifestazioni di affetto e di partecipazione, che abbiamo visto in questi giorni dopo il suo passaggio da questa terra all’eternità, ci dice quanto l’intenso Pontificato di questo Papa abbia toccato le menti e i cuori». Il cardinale Re cita la prima enciclica di Francesco, l’Evangelii Gaudium e poi la Laudato sì, sottolineando «l’attenzione sui doveri e sulla corresponsabilità nei riguardi della casa comune: nessuno si salva da solo». «Costruire ponti e non muri è un’esortazione che egli ha più volte ripetuto» – afferma Re. L’omelia, precisa e nitida, racconta il pastore e l’uomo. Ricorda la «forte personalità» con cui Francesco ha governato la Chiesa, il suo desiderio di un «contatto diretto con le singole persone e con le popolazioni», il suo desiderio di «essere vicino a tutti, con spiccata attenzione alle persone in difficoltà, spendendosi senza misura, in particolare per gli ultimi della terra, gli emarginati». È stato un Papa «in mezzo alla gente – aggiunge Re – attento al nuovo che emergeva nella società e a quanto lo Spirito Santo suscitava nella Chiesa», che usava un linguaggio ricco di immagini e di metafore, e «una maniera informale di rivolgersi a tutti, anche alle persone lontane dalla Chiesa, ricco di calore umano e profondamente sensibile ai drammi odierni», convinto che la Chiesa «è una casa per tutti». Infine, il cardinale decano dichiara che Francesco «soleva concludere i suoi discorsi e i suoi incontri dicendo: “Non dimenticatevi di pregare per me”». Poi, rivolgendosi direttamente al defunto, dice con forza: «Caro Papa Francesco, ora chiediamo a te di pregare per noi e che dal cielo tu benedica la Chiesa, benedica Roma, benedica il mondo intero, come hai fatto dal balcone di questa basilica in un ultimo abbraccio con tutto il popolo di Dio, ma idealmente anche con l’umanità che cerca la verità con cuore sincero e tiene alta la fiaccola della speranza». Un intenso applauso sigla l’appello finale a Francesco: «Non dimenticarti di noi!». Dopo la comunione, s’innalza la preghiera corale della Chiesa con l’invocazione dei santi, tra cui Francesco e Ignazio di Loyola, uno accanto all’altro come nella vita di Bergoglio. Solenne e commovente la supplica delle Chiese orientali, a suggello di un dialogo tenacemente costruito. Terminata la benedizione, l’aspersione con l’acqua benedetta e l’incensazione, la salma del Papa torna ancora in basilica, accompagnata dal suono delle campane e delle mani che applaudono. Poco dopo mezzogiorno, il feretro sulla papamobile adattata esce dalla Porta del Perugino e attraversa la città, passando in mezzo a circa 150 mila fedeli assiepati dietro le transenne, lungo i 6 chilometri di percorso, fino alla basilica di Santa Maria Maggiore. A salutarlo un unico, lunghissimo e interminabile applauso. Seguiamo sui maxi schermi l’ultimo viaggio di Francesco, mentre, quasi in silenzio, le persone lentamente lasciano la piazza. Davanti a noi sfilano migliaia di ragazzi, con le magliette colorate simbolo della loro provenienza. Sono il popolo degli adolescenti giunti a Roma per il Giubileo e protagonisti, senza volerlo, di un momento storico. Volti sorridenti e un po’ stanchi, ma consapevoli di aver vissuto un’esperienza unica e senza precedenti, che li mette davanti a domande sulla Chiesa, la fede, le scelte della vita. Nell’età in cui di solito spariscono dalle parrocchie, sono accanto al Papa che in diverse occasioni ha pronunciato per loro parole cariche di speranza e di gioia. Nelle loro mani è la Chiesa del futuro, che non smetterà mai di annunciare Cristo, unica vera fonte di vita. A Francesco sarebbe piaciuto questo ideale passaggio del testimone a chiusura del suo coraggioso pontificato e all’indomani della Pasqua di risurrezione.

(Foto: Vatican Media/SIR)

Commenti: 0

Il tuo indirizzo mail non sarà reso pubblico. I campi obbligatori sono segnati con *