«Nessuno può essere escluso»

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“The Economy of Francesco 2020”: 2.000 giovani economisti e imprenditori da 120 Paesi si sono ritrovati insieme dal 19 al 21 novembre, online, per avviare con il Papa un processo di cambiamento globale affinché l’economia di oggi e di domani sia più giusta, fraterna, inclusiva e sostenibile. Ne abbiamo parlato con Stefano Zamagni

Da giovedì 19 a sabato 21 novembre si è svolto “The Economy of Francesco 2020”, il primo incontro ecumenico online che ha visto riuniti 2.000 giovani economisti e imprenditori under 35 provenienti da tutto il mondo. L’appuntamento, che doveva tenersi ad Assisi, si è svolto in streaming. Anche il Papa ha partecipato in modo virtuale insieme agli iscritti che hanno condiviso l’esperienza vissuta, il lavoro, le proposte e le riflessioni maturate in questi mesi nei 12 gruppi organizzati.

Il lavoro di preparazione è partito il 1° maggio 2019 quando il Papa in una lettera aveva chiesto ai giovani di pensare a una nuova economia.

Il lavoro è proseguito poi con grande impegno e responsabilità attraverso sessioni, seminari, mostre e convegni, spesso utilizzando i linguaggi digitali.

“Economy of Francesco” è un movimento di giovani con volti, personalità, idee che si muove e vive in tutto il mondo per un’economia più giusta, inclusiva e sostenibile.

La sfida che, con la straordinaria iniziativa di Assisi, Papa Francesco ha lanciato a studiosi, imprenditori e policy-makers, è quella di «adoperarsi con coraggio per trovare i modi per andare oltre, trasformando dall’interno il modello di economia di mercato che si è venuto a consolidare nel corso dell’ultimo quarantennio». L’evento costituisce l’inizio di un cammino che, per quanto laborioso e complesso, vuole avviare un autentico progetto trasformazionale – non semplicemente riformista – dell’attuale assetto di ordine sociale.

Al termine di questa straordinaria esperienza che ha coinvolto neo laureati in Economia che si affacciano alla carriera universitaria e giovani imprenditori, provenienti da 120 Paesi e di diverse religioni, abbiamo chiesto al professor Stefano Zamagni, presidente della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, un commento sulle tre giornate, alla luce delle parole del Santo Padre che ha inviato un video messaggio conclusivo ai partecipanti.

Zamagni, come nasce «Economy of Francesco»?

«Non era mai accaduto nei primi due millenni che il Papa convocasse dei giovani economisti e imprenditori a occuparsi specificamente ed esclusivamente di temi economici. Lo ha fatto perché la situazione negli ultimi 50 anni presenta i caratteri dell’insostenibilità sia dal punto di vista ecologico sia sociale con l’aumento endemico e sistemico delle diseguaglianze e perché l’economia di mercato non è più in grado di creare quei risultati di efficienza e di aumento del benessere che l’avevano caratterizzata negli ultimi due secoli.

Da maggio del 2019 si sono messi al lavoro 2000 giovani suddivisi in 12 gruppi su altrettante tematiche che volontariamente hanno dedicato il loro tempo e le loro energie per affrontare gli argomenti specifici di ogni area. Il Papa al termine dell’evento, come ha spiegato nel suo messaggio, ha preso atto della novità e del grande lavoro realizzato e intende sviluppare quanto è stato raccolto. Adesso l’obiettivo è dare corso a quanto è stato messo in evidenza».

Quali sono i risultati di queste giornate e cosa si prevede per il futuro?

«I lavori sono stati una sorta di inventario che ha denunciato quello che non va. Il Santo Padre ha detto che «se è urgente trovare risposte, è indispensabile far crescere e sostenere gruppi dirigenti capaci di elaborare cultura, avviare processi, tracciare percorsi, allargare orizzonti, creare appartenenze». Bisogna, dunque, imparare a costruire alternative e “avviare processi” cioè dei cambiamenti che devono avvenire nel corso del tempo. I punti di cui dovrà tenere conto la riflessione nei prossimi mesi e che sono stati evidenziati dal Pontefice sono diversi».

Ce li vuole riassumere?

«Il primo è quello che riguarda il progetto di una prosperità necessaria ma inclusiva e in grado di accogliere tutti, soprattutto quanti hanno delle disabilità di vario tipo perché l’attività lavorativa non può essere soltanto per i soggetti produttivi. Un aspetto, questo, che va in controtendenza rispetto alle aspettative della società. Spesso chi è portatore di handicap si deve accontentare della solidarietà, dell’assistenza o della beneficenza. Anche i cristiani tendono a fare solo l’elemosina che si può definire “un vizio luciferino”. San Francesco, infatti, affermava che tutti devono poter lavorare perché se tutti lavorano nessuno deve chiedere l’elemosina. Il secondo punto riguarda l’urgente riforma degli assetti finanziari a livello internazionale. Il Papa ha rivolto un forte richiamo al mondo della finanza che finora ha operato solo per il bene di qualcuno.

Il terzo insiste sui modelli di scuola e di università che sono, salvo rarissime eccezioni, sbagliati perché basati su un impianto verticale (sul modello del taylorismo inglese) che consente l’educazione ma non l’istruzione. La scuola deve tornare a essere prima di tutto un luogo di educazione. Tutti pensano che la crisi della scuola sia dovuta alla mancanza di risorse in realtà ciò che manca sono testimoni e persone che sappiano avviare un progetto educativo.

Il quarto punto interessa la democrazia che deve tornare a stare al di sopra del mercato. Oggi la politica è al servizio dell’economia. I grandi gruppi finanziari dettano la linea di azione dei Governi e questo non può continuare perché stravolge la civilizzazione.

In ultimo il Papa raccomanda un’inversione radicale degli stili di vita che riguarda tutti noi molto da vicino. Dobbiamo smetterla con l’atteggiamento “libertario” cioè con quella concezione diffusa, soprattutto tra la nuove generazioni, per cui fare e pensare quello che si vuole sia la via verso la libertà. Spesso questo si traduce dall’aforisma “volo ergo sum” cioè “voglio quindi sono”. Invece è vero il contrario. Lo stile di vita è il modo con il quale la persona pensa se stessa in rapporto agli altri. Non basta, dunque, stilare un decalogo di doveri, occorre cambiare rotta e abbracciare la sobrietà da inserire all’interno di una concezione più alta».

Daniela Catalano

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