L’umorismo fatto di niente

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di Maria Pia e Gianni Mussini

Sul finire della scuola, Gianni ricorda come viveva questi momenti quando ancora faceva il professore: davanti, l’estate prometteva lunghe biciclettate e un bel po’ di montagna selvaggia con i figli e qualche amico o parente. È vero che c’erano gli esami di maturità, ma anche quelli potevano diventare l’occasione di nuove amicizie. Conoscenze che diventavano parte della sua vita e dunque anche di quella della famiglia.

Però, man mano che si avvicinava l’ultimo giorno, si faceva sentire anche il senso sottile di una sottrazione. Non solo per il tempo che passa (il micidiale “Fugge l’ora” oraziano) ma anche per il commiato, parziale ma per una delle tre classi definitivo, da quella vita trascorsa in mezzo ai ragazzi, da insegnante rigoroso e insieme da “buffone” che, all’arte naturale, univa quella appresa alla scuola di Mai dire Gol o della banda di Arbore. (E ogni giorno le piccole storie scolastiche erano l’oggetto di chiacchierate in famiglia, tanto che moglie e figli finivano per conoscere in modo vivo molti degli alunni di Gianni).

Frizzi e lazzi erano però in buona parte un suo geloso copyright. Così per esempio in un test di Storia dove tra le risposte multiple alla domanda su un certo generale polacco del ’700 si leggevano le seguenti opzioni: A) Kosciusko; B) Ginocchiusko; C) Pedusko; D) Ditusko nel Nasusko; E) Wesselofski. Il più credibile e gettonato era l’ultimo, quello giusto però il primo… Non per caso il docente si attribuiva lo pseudonimo parlante di Carougnasse (ma una carogna di buon cuore, che non teneva ovviamente conto di quella risposta sbagliata, soddisfatto di aver provocato – dopo l’iniziale spavento – uno scoppio di buonumore: e Dio sa se non ce ne sia sempre bisogno).

A parziale scusante del docente buffone, c’è da dire che certe situazioni, comicissime in classe, al di fuori di quel contesto perdono inesorabilmente di mordente, sino a risultare talvolta quasi incomprensibili. Rubiamo le parole a Claudio Magris, reduce (era il 1988) da un corso d’inglese full-immersion, a Londra: “Mi identifico di colpo nella vita della classe e col meccanismo che la regola: indovinare le pretese, i pallini e le debolezze degli insegnanti, far sì che sia sempre qualche altro a esporsi per mettersi nella sua scia e faticare un po’ meno, scatenare quell’ilarità e talora quell’autentico umorismo fatto di niente, un grande dono degli dei che la vita, così avara, a scuola dispensa con splendida noncuranza”.

Ecco, l’umorismo fatto di niente era proprio quello che veniva meno con le vacanze ed è forse la ricchezza non più piccola, di certo la meno coltivata, della scuola: che prima di tutto vive – checché ne dicano certi barbosi burocrati dell’insegnamento – della magica specialissima relazione tra chi insegna e chi impara.

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