Lino Maga, il “vignaiolo”

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A Capodanno ci ha lasciati il “signor Barbacarlo”: 90 anni, 84 vendemmie, inventore di un vino rosso che in “quel mussare di spume fini e veloci sembra una risata cordiale”

Lino Maga, per tutti il “signor Barbacarlo”, un personaggio diventato, insieme al suo vino, un’autentica icona, nota ben oltre i confini del suo paese, se n’è andato. Lo ha fatto la notte di Capodanno, a 90 anni, lo stesso giorno in cui si era spento un altro mito, quello delle due ruote, il “campionissimo” Fausto Coppi. Se ne è andato nella sua casa di Broni, l’enoteca di via Mazzini dove sono passati personaggi famosi, gente comune, attori, sportivi, scrittori e giornalisti, primi fra tutti “Gioan” Brera e Luigi Veronelli che di Lino erano diventati inossidabili amici oltre che innamorati del suo vino e della straordinaria ed unica atmosfera che nell’enoteca del Barbacarlo si poteva respirare, fatta di un buon bicchiere, di un camino acceso, di una fetta di salame, di un sapore d’altri tempi. Lino Maga, il “vignaiolo” – ha voluto che sul suo manifesto funebre venisse anteposto questo termine al suo nome – era lì, pronto ad accogliere l’ospite, con l’immancabile coppola, la sigaretta accesa, una bottiglia sempre pronta per essere stappata, una parola detta sottovoce, ma forte e saggia nei contenuti tale da diventare lezione di vita.

La carriera del vignaiolo era iniziata 84 anni fa, tante – come amava ricordare – erano le sue vendemmie. La vicenda dell’azienda di Maga affonda le sue radici nel 1896, quando i suoi avi intitolarono un pezzo di terra di 4 ettari allo zio (“in dialetto “Barba”) Carlo. Da qui il nome del vino diventato mito. In mezzo tante sfide, tante battaglie come quella, durata oltre vent’anni, che ha permesso di riconoscere a Maga l’esclusiva dell’utilizzo del nome “Barbacarlo”.

Su tutto rimane il successo enorme di questo vino (un mix di Croatina, Uva rara e Vespolina), di diritto ai primi posti nel ristretto club dei grandi.

Uomo antisistema, profondamente innamorato di Broni e dell’Oltrepò pavese, Maga ha precorso i tempi, dando valore alla microzona del “Barbacarlo”, ben prima che diventasse di moda parlare di terroir.

Dell’amicizia davvero fraterna che lo legava a Brera gli piaceva raccontare spesso, accanto all’immancabile camino acceso.

«Gianni Brera – spiegava Lino – era una persona che amava gli umili e quando erano in difficoltà li aiutava. Nella mia vita mi sono trovato ad affrontare battaglie che lui ben conosceva. E mi ha sempre sostenuto, come si fa con un fratello. Come peraltro ha fatto un altro grande amico, Luigi Veronelli. Mi invitava spesso a casa sua a Milano ma il suo posto preferito era la Spessa. Lì c’era la Teresa che cucinava i piatti poveri da lui tanto amati come il ragò, le costine di maiale, il cotechino, il lesso, il risotto rognoso, la trippa. In Oltrepò Brera aveva anche il sarto, a Mezzanino e quando arrivava era un’occasione in più per trovarsi in compagnia attorno alla tavola imbandita, a giocare a carte, a cantare le canzoni della tradizione popolare. Negli anni Sessanta il Gioan beveva il Barbaresco di Oddero, a pranzo e a cena. Ma il vino che preferiva era il Barbacarlo e lo amava a tal punto che quando la Milano-Sanremo passava da Casteggio incaricava Piero Fiocchi della Fiat di Stradella di portarglielo e poi ne scriveva sul Guerrin Sportivo».

Una stima talmente profonda che portò Brera a scrivere così nel capitolo “Il vino che sorride” del libro La pacciada: mangiare e bere in pianura padana, creato a quattro mani con Luigi Veronelli ed edito per Mondadori nel 1973: “Il Barbacarlo che un cugino monsignore prende a Broni, basta mescerlo per vederlo montare in superbia: e quel mussare di spume fini e veloci sembra una risata cordiale; poi è buono, altro che storie!, e sarà l’infanzia, sarà la disposizione atavica, io di vini migliori ne ho pure bevuti e ne bevo, ma non ne trovo mai che mi piacciano sempre in egual misura, che siano altrettanto leali a qualsiasi livello”.

In moltissimi hanno voluto essere presenti per l’ultimo saluto lo scorso 4 gennaio a Broni nella basilica di San Pietro apostolo, esponenti delle istituzioni e del mondo vitivinicolo, giornalisti, amici ed estimatori, provenienti un po’ da ogni angolo del Paese.

«Abbiamo scelto il brano di vangelo della vite e dei tralci perché è un argomento che Lino conosceva molto bene. – le parole dell’arciprete di Broni mons. Mario Bonati nell’omelia – Sappiamo tutti l’amore che aveva per la vigna e come sia riuscito a valorizzare il suo prodotto, non solo per se stesso ma per tutta la comunità».

«Lino è stato un uomo eccezionale, unico – il ricordo del sindaco della città Antonio Riviezzi – e ha espresso la sua arte in vigna, creando un vino straordinario. Per Broni è stato un dono e per me un onore conoscerlo. La nostra città piange la scomparsa di uno dei concittadini benemeriti più illustri. Lino è stata una di quelle persone che hanno in dote un talento e lui è riuscito a farlo conoscere al mondo. Ora sta curando qualche vigna nel cielo e renderà speciale anche quella».

Secondo il sottosegretario alle Politiche agricole, Gianmarco Centinaio, «il maestro ci ha lasciato con una grande missione: far grande l’Oltrepò». Per Gilda Fugazza, presidente del Consorzio Tutela vini dell’Oltrepò Pavese, Maga «ha dato moltissimo diventando un esempio carismatico», mentre per il presidente del Distretto del vino Fabiano Giorgi «dobbiamo essere grati a Lino Maga per aver portato l’Oltrepò nelle carte dei vini dei migliori ristoranti d’Italia e del mondo» e per Davide Calvi, presidente del Club del Buttafuoco storico, «l’Oltrepò perde un grande vignaiolo innamorato del suo territorio, tra i primi a credere nelle potenzialità dei grandi rossi dell’Oltrepò orientale, come Bianchina Alberici fece con il Buttafuoco».

«Ho avuto la fortuna di passare tanto tempo insieme a Lino – ricorda il direttore della Gazzetta di Parma Claudio Rinaldi – che ci ha lasciato delle lezioni di cura della terra e del vino meravigliose per qualsiasi giovane che vuole avvicinarsi a questo mestiere. La lezione più grande che ci resta di lui, però, è quella di camminare controcorrente, ma mai contro natura».

«Sono sempre rimasto stupito dal contrasto tra la sua figura minuta e la capacità di lottare come un guerriero contro la burocrazia, – gli fa eco l’ex curatore della guida dei vini de L’Espresso Massimo Zanichelli – le aggressioni, le malattie. Lascerà un vuoto enorme e madornale, colmato solo in parte dai tanti ricordi lieti e dai suoi aforismi. Ci mancherà, ma cercheremo sempre di vedere il bicchiere mezzo pieno della vita».

E, per finire, il ricordo dei giornalisti enogastronomici Paolo Massobrio e Marco Gatti: «L’Italia e l’Oltrepò del tuo cuore e delle tue battaglie perdono una bandiera, noi un amico immenso. Ti ricordiamo a Golosaria mentre affascinasti la platea con il racconto della tua vita straordinaria, fatta di battaglie, ideali, soprattutto amicizie vere».

Lino Maga, vedovo da anni della moglie Nella, ha lasciato i figli Gabriella e Giuseppe che da anni è alla guida dell’azienda, rappresentando il presente e il futuro del “Barbacarlo”.

Marco Rezzani

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