Italia-Germania 4-3. La partita che ha fatto storia

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Cinquant’anni fa l’incontro del secolo ai Mondiali del Messico. Era il 17 giugno 1970: un’altra epoca, un altro Paese, un’altra voglia di sognare

Per molti “la madre di tutte le battaglie calcistiche” fu anche l’ultimo atto agonistico della Resistenza, la resa dei conti (epica e sportiva) con i tedeschi, conclusa vittoriosamente ai supplementari da Rivera

di Luca Rolandi

Dal 1930 la Coppa del Mondo è senza alcun dubbio la competizione del pallone per eccellenza. Noi italiani ne siamo pionieri grazie a due trionfi nelle prime tre edizioni e i successi del 1982 e del 2006. Ma, oltre all’Italia, ci sono due nazionali che hanno recitato un ruolo da protagonista nella storia di questa manifestazione: il Brasile e la Germania.

Italia-Germania (Germania Ovest dal 1949 al 1990) costituisce da sempre l’emblema della rivalità calcistica tra le rappresentative nazionali. Basti pensare che queste due squadre hanno partecipato a 14 finali mondiali (8 la Germania, 6 l’Italia), tante quante tutte le altre nazionali europee messe insieme. E Italia-Germania di cinquant’anni fa inaugurò una serie di partite passate alla storia. Ma quella storica lo divenne davvero.

Nello stadio di Città del Messico c’è una grande lapide di marmo che i messicani fecero deporre a immortale memoria degli eroi dell’Azteca, la famosa semifinale Italia-Germania 4-3: era il 17 giugno 1970. Mezzo secolo fa.

Le 16 del pomeriggio ora locale, notte fonda in Italia. Sugli spalti 107.412 spettatori, centinaia di milioni collegati in Mondovisione. Un’altra vita, un’altra Italia. Che per la prima volta, in una notte assurda di gioia, scese in piazza con le bandiere e i clacson a mille per festeggiare la vittoria. Dopo un match senza uguali. Lo dice la targa cementata nello stadio dei miracoli: “El partido del siglo”. Una partita emblema, che alcuni anni dopo Italia-Brasile 3-2 e Italia Germania 3-1 al Mundial spagnolo del 1982 avrebbero eguagliato come importanza non solo dal lato sportivo, ma anche per quello legato alla società, al costume, alla politica, alla cultura. Erano gli anni del post-Sessantotto, delle tensioni sociali, delle lotte operaie e l’autunno caldo, con la legge sullo Statuto dei Lavoratori. Erano gli anni del post-Concilio in Italia e nel mondo, del rinnovamento e aggiornamento della società: tempi di progettazione e di visione di futuro, ma anche momenti di buio, di violenza che si imponeva con le stragi neo fasciste e il terrorismo comunista. L’uomo sulla Luna e i primi cedimenti sul fronte delle granitiche certezze economiche derivate dal boom degli anni Sessanta. Poi sarebbe iniziato un lungo tunnel ultra decennale. Ecco allora in questo contesto la partita, il mondiale messicano, in cui la squadra di Uccio Valcareggi si presentò tra le favorite avendo trionfato (sarebbe stato l’unico alloro nella sua storia) nei campionati europei de 1968. Un girone anonimo e incolore fino alla grande semifinale che trasformò i calciatori in eroi.

Eroi perché i giocatori delle due nazionali diedero vita quella sera di giugno a uno spettacolo mitico, conquistando milioni di amanti del calcio nel mondo. Certo, allora abbiamo vinto, ma l’onore va equamente diviso con gli avversari che hanno contribuito a dare sul campo una grande prova di coraggio e orgoglio pari alla nostra passione e determinazione.

I Mondiali messicani del 1970 portarono all’assegnazione definitiva della Coppa Rimet al Brasile, prima squadra a vincere tre edizioni del trofeo. Di lì in poi, il trofeo cambiò il proprio titolo in “Coppa del mondo”. Ma la memoria collettiva di quell’edizione è indissolubilmente legata alla semifinale tra Italia e Germania Ovest, giocata allo stadio Azteca di Città del Messico.

La partita era iniziata lentamente, le due squadre si studiavano sul campo con mosse e contromosse, poi via via come un copione perfetto di un film di successo, è divenuta prima straordinaria, quindi entusiasmate e infine sovrumana, e mi è entrata nella mia memoria come nel ricordo collettivo di tutti quegli italiani che attraverso la televisione hanno assistito allo spettacolo. Questa partita ha ispirato libri, film e rappresentazioni teatrali, riproponendo sempre la sua carica emotiva ed emanando il proprio fascino anche sulle generazioni successive a quelle direttamente coinvolte.

Nel nostro Paese più di 30 milioni di italiani seguirono la telecronaca di Nando Martellini o la radiocronaca di Enrico Ameri. Poi la finale con il Brasile di Pelè con la sconfitta secca per 4-1. Ma la partita mitica era stata l’altra… quella che, a cinquant’anni di distanza, fa ancora sognare.

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