I loro ideali continuano a volare

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I loro ideali continuano a volare

Di solito lo chiamano “l’esercito del bene”. Solo che i suoi militanti non partono mai per una guerra, ma per missioni di pace, anche in Paesi dilaniati da conflitti sanguinari. A volte corrono dei rischi ma non pensano di morire aiutando gli altri. Nemmeno se lo immaginavano gli 8 italiani tra le 157 vittime del Boeing precipitato domenica scorsa, diretto da Addis Abeba a Nairobi. Su quell’aereo che è venuto giù viaggiava anche la speranza di chi lavora per un mondo migliore proprio come Paolo, Carlo, Gabriella, Matteo, Sebastiano, Maria Pilar, Rosemary e Virginia. Tutti facevano parte di un “battaglione” silenzioso che non si tira mai indietro davanti a una richiesta di aiuto: non soldati, ma semplici volontari, cooperanti, rappresentanti del terzo settore. Tutti uniti dal desiderio comune di impegnarsi in prima persona per non essere spettatori del futuro. Allora avanti, allora si partiva, si andava dove c’era una carestia, un’emergenza, dove serviva assistenza in una scuola o in un ospedale o in un campo profughi che fossero in Uganda, in Etiopia, in Congo. Si partiva comunque, in barba ai disillusi, agli scettici, per fare, per attivarsi, per difendere certi diritti. Non sto parlando di cittadini di un’altra Italia, ma di gente comune, che incontri al bar, nostri connazionali che sono lo specchio – per fortuna – di un Paese reale, che puoi trovare come vicini di casa. Gente normale. Si partiva e ogni volta tra mille difficoltà e fatiche che scomparivano presto quando l’idea di dare una mano al prossimo si trasformava in gesto, la carità diventava il sorriso di un bambino. Non si restava a casa, in casa. Non volevano davvero cambiare il mondo, ma l’esistenza di chi è povero, di chi soffre sì. Domenica sono venuti giù, dentro quell’aereo, ma i loro ideali continuano a volare.

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