«I giovani che vengono dalla strada incontrano testimoni credibili»

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La prima tappa del nostro viaggio negli oratori della Diocesi non poteva che essere Stradella. Siamo andati proprio lì, al “San Giovanni Bosco”, dove giorni fa è avvenuta l’aggressione al vice parroco don Daniele Lottari. Con lui e con una coordinatrice, Adelina Sansone, abbiamo cercato di capire chi frequenta la struttura, cosa fa e cosa ascolta. Come cresce nella fede. E il bullismo?

DI MARCO REZZANI

Il nostro viaggio tra gli oratori della Diocesi parte dall’Oltrepò pavese, dalla città della Torre, Stradella (e non poteva essere altrimenti visti i recenti fatti), con il suo oratorio intitolato al santo per eccellenza della gioventù, san Giovanni Bosco. Ci arrivo un lunedì pomeriggio, scendo le scale della rampa Pascoli da cui lo sguardo si allarga alla pianura e, complice una stupenda giornata di sole, più oltre fino alle catene montuose. Entro e ad accogliermi trovo il vice parroco don Daniele Lottari e Adelina Sansone, una dei due coordinatori d’oratorio insieme a Nicolò Baldini, formatisi durante i corsi della durata di due anni organizzati dalla Pastorale Giovanile Diocesana. Grazie a loro conosciamo la realtà di questa “casa dei giovani”. Il “San Giovanni Bosco” di Stradella è iscritto al Csi (Centro Sportivo Italiano) e conta un centinaio tra educatori e animatori, di cui una quarantina presente in modo continuativo durante tutto l’anno. Al sabato sera è aperto e offre la possibilità ai gruppi di adolescenti di ritrovarsi e partecipare agli incontri di formazione, dal dopo Cresima fino agli ultimi anni delle superiori. Oltre alle attività formative, sono diversi gli eventi che vengono proposti alla comunità, dalle feste per bambini e ragazzi alla partecipazione a iniziative cittadine, come il mercatino di Natale o la pesca di beneficenza nei giorni del “Vinuva”, agli incontri a livello vicariale e diocesano, organizzati sempre dal servizio diocesano di Pastorale Giovanile, senza dimenticare i campi estivi nella Casa Alpina a Brusson. Momenti centrali della vita oratoriana sono il Grest – che nella passata edizione ha visto più di 200 iscritti – e le Olimpiadi prima dell’avvio delle scuole a settembre. Da alcuni anni, inoltre, l’oratorio organizza un proprio campo estivo parrocchiale, in condivisione con la parrocchia di Broni e non manca uno stretto rapporto di collaborazione con le associazioni parrocchiali come la Caritas, con le altre realtà di volontariato operanti sul territorio e con il Comune, in particolare nel recupero o reinserimento di persone attraverso i lavori socialmente utili. Gli spazi dell’oratorio vengono anche utilizzati per gli incontri di catechismo. La struttura è aperta dal lunedì al venerdì, dalle 15 alle 19, il sabato dalle 15 alle 17.30 e dalle 20 alle 23. Fin qui la carta d’identità, ma in questo pellegrinare tra gli oratori diocesani desideriamo scoprire qualcosa di più, andare al cuore di quanto accade tra quelle mura, capire se ancora oggi, in una società parcellizzata e cellularizzata, ha ancora senso un luogo come questo. È di questi giorni l’uscita di un libro dal titolo Oratorio Italia con un sottotitolo emblematico: Viaggio nel paese del bene. È edito per i tipi di Rubettino, scritto da Alessia Ardesi, con la prefazione del Segretario di Stato vaticano Pietro Parolin e la postfazione di Aldo Cazzullo. “All’oratorio si impara a vivere insieme – scrive il cardinale – a scambiarsi opinioni, esperienze, ma anche ad accettarsi nelle differenze caratteriali, sociali, linguistiche, culturali. Esso è un ambiente in cui si respira l’empatia per gli altri”.

Accade anche a Stradella? E come si fa a generare questa empatia?

«Bisogna differenziare la frequentazione. – spiega don Daniele Lottari – Ci sono ragazzi che ci vengono regolarmente come gli animatori e altri che “arrivano dalla strada”. Il primo passo è tenere la porta aperta a tutti e – passami il termine – “mettere in difficoltà” gli animatori con quei ragazzi che vivono dinamiche diverse dalle loro, più complesse. Il miracolo avviene quando i due gruppi riescono a vedersi come persone. Lo si scorge nei piccoli dialoghi quando riescono a giocare insieme o quando provano a condividere spazi interiori. Il traguardo che mi piacerebbe raggiungere è che i ragazzi arrivassero a percepire l’altro come un’opportunità e non come una minaccia. Su questo si lavora in particolare nei gruppi che si ritrovano in oratorio il sabato sera».

C’è poi la grande questione della trasmissione della fede e soprattutto della testimonianza di una vita secondo il Vangelo. “I parroci – scrive ancora Parolin – e gli educatori sono chiamati a diventare testimoni di Dio di fronte alle nuove generazioni per annunciare il messaggio evangelico. Non per imporlo, ma per proporlo!”.

«In oratorio tentiamo – il commento di don Lottari – di fare in modo che il Vangelo c’entri con la vita dei ragazzi. È una sfida enorme, molto difficile. C’è tutta la questione della scarsa partecipazione alla Messa e della formazione adeguata da dare agli animatori e agli educatori. Tuttavia penso che la testimonianza sia la via giusta, quella di chi hanno sopra di loro, quella della stima tra parroco e vice, della carità, della preghiera di chi hanno intorno. Anche nel prendersi cura degli altri e degli ambienti c’è il farsi dono ai fratelli e alle sorelle e questo è lo stile proprio di Gesù».

È ancora il Segretario di Stato che scrive: “L’obiettivo è proporre i valori che fanno crescere e indicano i rischi da evitare, come la droga, il bullismo, la violenza”. Inutile negarlo, si tratta di temi ricorrenti. Chiedo a don Daniele se è avvertita l’esigenza di un confronto su queste tematiche.

«Certo, l’esigenza c’è e se ne parla, soprattutto nei gruppi sono questioni che interrogano i ragazzi. Di fatto, anche i giovani più deboli, che manifestano queste tendenze, fanno parte della comunità. Non possiamo nasconderci dietro a un dito. La strada è quella di farsi prossimo, ascoltare più che giudicare. Non vuol dire non correggere, ma mettere a fuoco il problema e mettere in condizione l’altro di riconoscere il problema che lo affligge. Io questo lo dico sempre ai ragazzi».

Dunque ha senso, oggi, tenere aperta una struttura del genere? Perché i genitori dovrebbero mandare i loro figli, in oratorio, qui a Stradella?

«I genitori non dovrebbero mandare i loro figli, ma venire in oratorio con i loro figli, portando magari anche i nonni. Si risolverebbero molti problemi. L’oratorio dovrebbe essere sempre di più una comunità educante. È forse un’utopia, ma ritengo che l’oratorio sia ancora la via che storicamente ci è stata consegnata per educare o almeno cercare di farlo, uno spazio ancora vivo, vivibile, che le persone riconoscono come luogo che può essere funzionale alla realizzazione dell’’utopia di cui parlavo».

Prima di lasciare la città della fisarmonica scambio alcuni pensieri con Adelina Sansone, una dei coordinatori d’oratorio.

«Ero partita con l’occuparmi principalmente del Doposcuola – racconta – e poi, lentamente, ho finito con il prendermi cura di una casa».

La guardo stupito, ma lo stupore passa subito ascoltando la sua spiegazione:

«Per me questa è casa. La mia casa. Alcune volte mi chiedo se tutto questo serve a qualcosa, perché talora non vedo i risultati che mi aspetterei, non tanto a livello di frequenza, ma soprattutto a livello di testimonianza di fede. Però poi ci penso e mi dico che il Signore non guarda a questo. La mia speranza è che attraverso di noi, Gesù entri nella vita dei nostri ragazzi. Ed è questa speranza che mi spinge ad andare avanti».

La prima tappa del nostro viaggio termina qui, con lo sguardo rivolto al futuro, perché – usando le parole del cardinale Parolin – “per le nuove generazioni ci sarà sempre bisogno di un luogo di aggregazione in cui Cristo sia al centro”.

(ha collaborato Oliviero Maggi)

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