Da Pontecurone a Kiev per la pace

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Il racconto del viaggio in Ucraina di Rino Feltri, medico ed ex sindaco del paese

PONTECURONE – Sussurrata, urlata, ma soprattutto portata dentro il cuore: è stata “l’idea di pace”, a guidare l’ex sindaco di Pontecurone Rino Feltri alla marcia promossa a Kiev dal Movimento Europeo di Azione Nonviolenta (Mean) come lui stesso ha raccontato nella testimonianza scritta di getto al suo arrivo. Unico piemontese (insieme a una giovane di Torino) tra i 54 italiani che hanno scelto di prendere parte a questa missione solidale per portare la propria solidarietà alla popolazione ucraina colpita dalla guerra, il medico in pensione non ha avuto dubbi fin dal primo momento che ha ricevuto l’informazione relativa a questo progetto: «Ho sempre pensato che è il destino a guidare il mio cammino – racconta il settantenne Feltri – e questa volta la meta era lì, pur nelle differenze che naturalmente contraddistinguono ogni persona. Il collante che ci teneva insieme era l’idea di pace». Questa volta, però, la missione vissuta dal pontecuronese è stata diversa.

Rino Feltri

«Nei mesi di marzo e aprile si trattava di un viaggio umanitario reso possibile grazie agli orionini di Leopoli, don Moreno e don Egidio: mamme e bambini scappavano dalla guerra e alla frontiera c’era un numero interminabile di persone in fuga. Ho visto e soccorso bambini, alcuni in ipotermia, altri che avevano bisogno di cure, che stringevano tra le mani i loro peluche quasi a voler testimoniare una continuità di vita costretti a interrompere. Tante le mamme che hanno dovuto abbandonare mariti, fratelli, figli rimasti in patria a combattere. Alcuni bambini sono stati portati di corsa all’ospedale pediatrico di Trieste in piena notte.

È stato così per tre viaggi alla frontiera ungherese di Beregsurany.

E in quelle occasioni mi sono profondamente emozionato, da papà, da nonno, da medico». Oggi alle frontiere non c’è più pressione, ma l’iniziativa diplomatica del progetto “Mean” ha messo al centro altri importanti tasselli, che compongono un messaggio chiaro di pace non armata e non violenta.

«Siamo stati ricevuti dal sindaco e dal Nunzio Apostolico, – aggiunge Feltri – con noi c’erano europarlamentari e giornalisti: grazie alla società civile ucraina, che ci ha presi in carico una volta arrivati, abbiamo ragionato con i nostri interlocutori ucraini del futuro. Noi, di fatto, pur essendoci rifugiati nei bunker la notte e sentendo le sirene che davano potenziali allarmi sulla città, non abbiamo visto la guerra.

La popolazione di Kiev sta cercando di andare avanti, di trovare una sua normalità in un contesto così tragico». Nella testimonianza scritta Feltri ringrazia quanti hanno condiviso con lui il percorso e l’insegnamento che ne ha tratto e si è scusato se, a volte, “da piemontese introverso, pragmatico e solitario”, ha disertato alcuni momenti di convivialità.

«Ciò che conta – ha concluso, citando Mandela – non è il semplice fatto di avere vissuto, ma il cambiamento che siamo stati in grado imprimere nella vita degli altri».

Alessandra Dellacà

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