Cervelli in fuga… verso casa

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Giulia Grancini, scienziata, e Marzia Calvi, funzionaria dell’OMS, dopo aver conseguito brillanti risultati lavorativi all’estero, hanno deciso di mettere a disposizione del nostro Paese la loro conoscenza e le loro esperienze

Dal 2013 ad oggi sono aumentati del 41,8% i trasferimenti all’estero per lavoro. È un dato preoccupante quello emerso dal “Referto sul sistema universitario 2021” presentato nei giorni scorsi dalla Corte dei Conti che ha analizzato numerosi fattori tra cui il finanziamento, la composizione, le modalità di erogazione della didattica e l’offerta formativa delle università italiane (98 atenei di cui 67 statali, che comprendono 3 scuole superiori, 3 istituti di alta formazione, 31 università non statali, di cui 11 telematiche). Solo negli ultimi tre anni l’Istat ha registrato 117 mila italiani, di cui 30 mila laureati, che hanno lasciato l’Italia e tra questi il 72% ha poco più di 25 anni e la maggior parte è formata da donne.

Le limitate prospettive occupazionali, con adeguata remunerazione, e la volontà di riscatto verso i sacrifici dei genitori sono la causa della necessità di cercare fortuna in altri Paesi. Uno studio di Confindustria, infatti, stima che una famiglia spenda 165 mila euro per crescere ed educare un figlio fino ai 25 anni, mentre lo Stato ne spende 100 mila in scuola e università. Il rapporto della Corte dei Conti, inoltre, mette in evidenza le criticità che ci sono nell’ambito della ricerca scientifica, con investimenti pubblici al di sotto della media europea. Sono ancora pochi anche i laureati in discipline Stem (Scienze, Tecnologia, ingegneria e Matematica). Non tutto però è negativo. Lo stesso rapporto evidenzia anche come nell’ultimo decennio sia aumentata la quota di laureati tra i più giovani (25-34 anni), pur restando che, rispetto agli altri Paesi Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), l’Italia è ancora molto indietro.

Se la “fuga dei cervelli” è un problema per il futuro della nazione, è anche vero che ci sono storie di “inversione di tendenza” in grado di lasciare spazio alla speranza. Come quelle di due giovani donne della nostra diocesi, brillanti laureate, che hanno deciso di investire sull’Italia e di “tornare a casa”.

Giulia Grancini e Marzia Calvi hanno percorsi di studi e impieghi lavorativi molto diversi ma entrambe sono legate alle loro radici e alla realtà diocesana dove sono cresciute, maturate e hanno vissuto esperienze associative (nell’Azione Cattolica, nella Pastorale Giovanile e nell’OFTAL).

Giulia Grancini in Università a Pavia

Giulia Grancini, 36 anni, è nata tra le colline dell’Oltrepò pavese, a Corvino San Quirico e da quando si è sposata vive a Tortona. Dopo la laurea in Ingegneria fisica al Politecnico di Milano nel 2006 ha intrapreso la carriera di “scienziata”. Conseguito il Dottorato, ha cominciato l’attività di ricercatrice in atenei di fama mondiale, prima a Oxford, poi a Milano e dal 2015 al 2019 a Losanna in Svizzera, dove è diventata direttrice di un piccolo gruppo di ricerca nel campo del fotovoltaico di nuova generazione. Dal 2019 è tornata stabilmente in Italia, all’Università di Pavia presso il Dipartimento di Chimica, dove oggi è a capo del gruppo di ricerca “PVsquared2” che segue il progetto europeo “ERC Starting Grant Hynano” dedicato al fotovoltaico.

Il suo team, multidisciplinare e internazionale, ha sviluppato una nuova classe di materiali, che ha permesso la realizzazione di moduli fotovoltaici efficienti, a basso costo e di lunga durata: rappresentano una soluzione di enorme potenziale per il mercato futuro e per l’economia verde.

Giulia, nel frattempo, ha raggiunto molti altri traguardi.

L’8 novembre 2019 a Budapest ha vinto il premio internazionale USERN 2019 per le Science Fisiche e Chimiche, il riconoscimento che premia gli scienziati sotto i 40 anni che hanno ottenuto risultati significativi nel campo di Fisica e Chimica ed è stata anche nominata “USERN Ambassador”, con l’obiettivo di promuovere e sviluppare la ricerca scientifica a livello globale e multidisciplinare e supportare la crescita dei giovani scienziati. L’anno dopo le è stato conferito il premio “Journal of Materials Chemistry Lectureship”, attribuito dalla “Royal Society of Chemistry” ed è stata inserita nel progetto della Fondazione “Bracco” tra le “100 donne contro gli stereotipi”, che sostiene la campagna “1 Milion Women in Stem” per promuovere il ruolo femminile nelle discipline scientifico-tecnologiche.

Nel 2020 è apparsa nella classifica degli “Highly Cited Researchers” che individua i ricercatori nelle discipline scientifiche o nell’ambito delle scienze sociali che hanno prodotto molteplici pubblicazioni, dimostrando un impatto internazionale nella loro area di ricerca. Quest’anno, infine, lo scorso 11 febbraio, ha partecipato, come unica italiana, alla sesta “Giornata internazionale delle donne e delle ragazze nella scienza”, istituita dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite e alla fine di aprile ha ricevuto dal presidente della Repubblica Sergio Matterella il titolo di Cavaliere.

Alla base dei suoi successi c’è una grande determinazione, unita alla passione e al desiderio di fare qualcosa per il proprio Paese.

«Ho accettato l’offerta dell’Università di Pavia – racconta Giulia – pur potendo scegliere di lavorare in un ateneo straniero, perché credo che sia giusto investire nella mia terra d’origine.

Lavoro con un team di colleghi di tutto il mondo e insieme dimostriamo come si possano costruire vere eccellenze anche in Italia».

«Credo sia importante avere sempre un obiettivo alto e cercare di utilizzare tutti gli strumenti disponibili per raggiungerlo. Sicuramente sono fondamentali lo studio che deve essere serio e impegnato e le esperienze all’estero che servono per ampliare la propria mente, soddisfare la curiosità, imparare nuovi metodi, nuove culture e capire come affrontare sfide più ampie di quanto si possa pensare».

«Importante è non fermarsi mai, non avere confini stretti ma guardare sempre oltre dandosi da fare con impegno e determinazione, cercando di andare oltre la propria zona di confort per imparare sempre di più e rendere migliore l’ambiente in cui si vive».

La sede dell’OMS a Ginevra dove lavora Marzia Calvi

Marzia Calvi, 33 anni, è tortonese e dopo il diploma al liceo “Peano” di Tortona, si è laureata all’Università “Bocconi” di Milano, specializzandosi in Economia e management delle amministrazioni pubbliche e organizzazioni internazionali. Grazie al suo titolo di studio, Marzia ha fatto molte esperienze all’estero, ha studiato a Parigi e ha realizzato uno stage alla Commissione europea a Bruxelles. Ha poi vissuto un anno in Etiopia per le Nazioni Unite, organizzazione per la quale lavora ancora oggi nella sede di Ginevra. Dal 2017, infatti, è impiegata nel Dipartimento dell’OMS (Organizzazione mondiale della Sanità) che si occupa della tubercolosi. Il suo lavoro consiste nell’individuare politiche e strategie a livello globale per supportare i vari ministeri della salute dei governi mondiali che hanno un programma nazionale di lotta alla tubercolosi che oggi è la prima malattia infettiva al mondo per numero di morti. «Noi – racconta Marzia – supportiamo i Paesi nella stesura del piano strategico e diamo loro consulenza tecnica soprattutto per le politiche sanitarie. Ci sono poi altri team che si occupano dell’aspetto della diagnostica e delle linee guide e altri ancora dedicati ai regimi di cura e ai rapporti costi e benefici».

«Io ho scelto di rimanere a Ginevra – aggiunge Marzia – perché in Italia era per me impossibile svolgere il mio lavoro. Se le Nazioni Unite, infatti, sono presenti in 194 Paesi nel mondo, le agenzie dell’Oms non sono ovunque e quella italiana, con sede a Venezia, segue aspetti diversi rispetto al mio campo di azione. Dopo aver vinto il posto a Ginevra grazie a un concorso, ho deciso di seguire la mia carriera, ma non ho mai abbandonato l’Italia. Dopo il matrimonio, io e mio marito abbiamo deciso di fare la spola tra Ginevra e Tortona.

A causa della pandemia, purtroppo, è stato più difficile spostarsi e quindi nell’ultimo anno anche mio marito ha deciso di lavorare in Svizzera. Recentemente, però, abbiamo deciso di tornare a vivere in Italia e sicuramente lo faremo nei prossimi mesi. L’idea è portare nel mio Paese il mio bagaglio formativo». «In Svizzera – spiega Marzia – è molto apprezzata la formazione italiana, sia liceale sia universitaria, perché è in grado di fornire una visione ampia e completa e non a caso tanti giovani italiani occupano posizioni molto alte grazie alla loro preparazione.

Credo davvero che per un neolaureato andare all’estero aiuti tanto a farsi le ossa e a capire quale è la strada da seguire.

Molti italiani hanno il desiderio di tornare, spesso però li frena l’incertezza del mondo lavorativo sul lungo periodo. Nel mio caso viaggiare e fare esperienze mi ha insegnato tanto e mi ha dato molte soddisfazioni ma mi ha anche aiutata a voler tornare per affrontare nuove sfide in futuro».

Daniela Catalano

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