Beata Maria Bolognesi

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Questa settimana conosciamo la vicenda umana di una “signorina vestita di nero” beatificata dieci anni fa, il 7 settembre 2013, a Rovigo. Maria Bolognesi, che la Chiesa ricorda il 30 gennaio, è stata anche la prima “polesana” a diventare beata. Nacque il 21 ottobre 1924 a Bosaro, nel Polesine, figlia illegittima di Amedeo Gozzati e di Giuseppa Samiolo e ricevette il cognome Bolognesi dal patrigno Giuseppe, poi sposato dalla madre.

A causa dell’estrema povertà della famiglia, Maria, che aveva sette fratelli, andò subito a lavorare nei campi e fu bracciante agricola per 26 anni.

Frequentò i primi due anni di elementari, ma non riuscì a passare in terza, per la necessità di lavorare e per la denutrizione. Fin da piccola, si con- sacrò totalmente al Signore e alla Madonna. La vita familiare fu molto difficile. Il patrigno maltrattava sua mamma, che, nervosa e bestemmiatrice, picchiava i suoi figli. Maria fu allontanata e mandata ospite nella canonica di don Sante Magro per svolgere alcuni lavori domestici. Lavorò molto, non godette mai degli agi del benessere, soffrì di molti malanni, subì paurose tentazioni diaboliche, ma non si diede mai per vinta. In casa era il sostegno della famiglia, in campagna zappava, raccoglieva il frumento, le barbabietole, faceva la legna, tesseva la canapa e andava anche a pescare.

Imparò a confezionare vestiti e scarpe e realizzava pure piccole opere di muratura. Dopo che fu vittima di una possessione diabolica, non compresa da chi le stava accanto, cominciò a indossare una veste scura e lunga fino alle caviglie, motivo per cui molti ridevano di lei. Una sera del marzo 1948 subì anche una violenta aggressione. A partire dal 1943, per alcune ore al giorno, raccoglie-va intorno a sé alcuni bambini e, pur non avendo studiato, riuscì a fare la maestra d’asilo per i più poveri dei poveri. Iniziò anche a scrivere un diario, su esortazione del suo parroco.

Nonostante le tribolazioni, era sempre allegra e si divertiva a far ridere i bambini. Erano frequenti le sue visite ai malati e l’assistenza notturna ospedaliera e poi accoglieva denaro e generi di prima necessità per le famiglie indigenti. Ebbe doni mistici di cui furono informati i suoi padri spirituali. È stato raccontato che il Signore le of-frì una volta un anello di fidanzamento con cinque rubini, che altro non erano che le stigmate impresse nel suo corpo, che la univano alla passione di Cristo.

Morì d’infarto a Rovigo il 30 gennaio 1980. Le sue spoglie riposano nella chiesa parrocchiale di Bosaro. La sua causa di beatificazione fu avviata il 23 settembre 2004 dal vescovo di Padova dopo la guarigione di un bimbo di 2 anni avvenuta per sua intercessione nel 1994.

Daniela Catalano

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