Anch’io ho fatto delle gaffe

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di Patrizia Ferrando

Una gentile lettrice mi ha posto una domanda: vorrebbe sapere se sono mai incorsa in qualche gaffe. Ebbene, la risposta può essere molto rapida, ma non esaustiva, perché di brutte figure… ne ho fatto a vagonate. Per raccontare le mie goffaggini remote e recenti, uscite infelici e azioni malaccorte non basterebbe un volume. Mi limito, così, a tratteggiare un piccolo numero di episodi diversi tra loro, accomunati dall’aver generato una quasi morale.

Titolo del primo scivolone: “Mai saltare alle conclusioni”. Quando siamo tra persone appena conosciute, anche se i legami di parentela ci appaiono ovvi, prudenza induce a non darli per scontati. A un cocktail piuttosto affollato, mi trovai a scambiare qualche parola con una signora: in precedenza avevo parlato con quello che ritenevo essere il di lei consorte. L’errore stava in agguato: quando feci riferimento a costui definendolo «suo marito», la mia interlocutrice scoppiò in irrefrenabili risate, assai divertita dalla mia attribuzione di coniuge. Inutile aggiungere che cercai di abbozzare, ma che non mi divertivo affatto.

Intitolerei il secondo episodio “La sincerità vince”. Mi trovavo in un ristorante e non ero in confidenza con tutti i commensali. Poco dopo gli antipasti, cominciai ad avvertire avvisaglie di un attacco allergico. Mi recai alla toilette, ma la situazione degeneró in modo tragicomico: un profumatore peggiorava la mia reazione, non volevo uscire, i miei occhi gonfiavano e il volto si arrossava, la cipria mi cadde sotto il lavandino, una telefonata spiacevole mi portò sull’orlo delle lacrime e così il tempo passava. Tornai al tavolo dopo un’attesa inaccettabile, con la faccia stravolta e così piena di vergogna da non saper formulare una frase opportuna. Se fin da subito avessi spiegato le circostanze, uscendo pochi minuti dal locale, invece di nascondermi, credo proprio che mi sarei sentita meglio e non avrei letto assurde congetture nello sguardo altrui.

Ancora un “fattaccio” per il galateo e la relativa morale: “Non si ammette faciloneria”. Su una bella tavola erano servite molte ciotole con bocconcini e piattini di finger food. Credevo che quel servizio servisse a distribuire il cibo su tutta la lunghezza. Mi servii abbondamente di funghi, da ghiotta. Troppo tardi mi accorsi che le ciotole contenevano tutte cose diverse e che, di conseguenza, avevo privato altri del piacere di assaggiare. Non si prospettava rimedio e mormorai qualche parola di scuse alla padrona di casa. Se non fossi stata dominata da miopia e distrazione, non sarei passata per ingorda e maleducata. E la regola aurea contro la brutta figura? Se esiste, non l’ho scoperta.

patrizia.marta.ferrando@gmail.com

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